Un nuovo studio ha permesso di comprendere meglio i meccanismi alla base della sindrome dell’X-fragile, una malattia rara caratterizzata da disabilità intellettiva e autismo. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Communications in un articolo dal titolo Missense mutation of Fmr1 results in impaired AMPAR-mediated plasticity and socio-cognitive deficits in mice.
La formazione di sinapsi funzionali nel cervello è fondamentale per stabilire una comunicazione e una plasticità neuronali efficienti, che sono alla base dei processi cognitivi e sociali. Tutto ciò non avviene nella sindrome dell’X-fragile, dove si riscontrano cambiamenti strutturali a livello delle sinapsi, deputate alla comunicazione tra i neuroni, causati da mutazioni del gene FMR1, tra cui quella nella sequenza R138Q.
La ricerca ha visto il coinvolgimento di un ampio network di ricercatori italiani e francesi: il gruppo di ricerca della prof.ssa Viviana Trezza del Dipartimento di Scienze dell’Università degli Studi Roma Tre (Italia); i gruppi di ricerca del dr. Stéphane Martin e della dott.ssa Barbara Bardoni dell’Institute of Molecular and Cellular Pharmacology IPMC – Université Côte d’Azur/CNRS (Francia); il gruppo della prof.ssa Maura Francolini del Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina traslazionale dell’Università di Milano e il gruppo del dr. Yann Humeau dell’Università di Bordeaux.
La sindrome dell’X-fragile è la forma più comune di disabilità intellettiva ereditaria dopo la sindrome di Down ed è la principale causa monogenica nota di autismo. La malattia è causata da mutazioni del gene FMR1 situato sul cromosoma X. Tale gene contiene le istruzioni per produrre la proteina FMRP (Fragile X Mental Retardation Protein), che ha un ruolo cruciale nello sviluppo del cervello. Le mutazioni del gene portano alla mancata espressione della proteina FMRP, determinando la comparsa di importanti disturbi dello sviluppo neurologico e altri deficit che caratterizzano la sindrome dell’X-fragile. In casi più rari, le cosiddette mutazioni missenso nel gene FMR1 causano la sostituzione di un amminoacido con un altro nella proteina FMRP, portando ad anomalie funzionali della proteina e, di conseguenza, alla malattia.
Grazie ad un approccio multidisciplinare, il team internazionale di ricercatori ha rivelato l’impatto funzionale della mutazione del gene FMR1 nella sequenza R138Q. La mutazione R138Q è di particolare interesse poiché è stata identificata in alcuni individui che presentano i sintomi tipici della sindrome dell’X-fragile.
“Lo studio, effettuato su topi che esprimevano la mutazione del gene FMR1 – spiega la dott.ssa Alessandra Folci, prima autrice dell’articolo – mostra che nell’ippocampo di tali topi, un’area cerebrale cruciale per la memoria e l’apprendimento, i neuroni presentano cambiamenti strutturali a livello delle sinapsi, deputate alla comunicazione tra i neuroni. Utilizzando esperimenti di biochimica, microscopia ad alta risoluzione, elettrofisiologia e una batteria di test comportamentali, questo lavoro dimostra anche che i topi che hanno questa specifica mutazione presentano anomalie della trasmissione neuronale e deficit a livello sociale e cognitivo caratteristici della sindrome dell’X-fragile”.
Grazie ai risultati di questo studio, inoltre, la dott.ssa Alessandra Folci è risultata vincitrice di un prestigioso finanziamento Marie Sk?odowska-Curie, che le ha permesso di ritornare in Italia, presso l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, dopo aver trascorso un prolungato periodo di ricerca all’estero nel gruppo del dr. Martin, in Francia.
“Questa ricerca – spiega la prof.ssa Viviana Trezza, docente di Farmacologia del Dipartimento di Scienze dell’Università degli Studi Roma Tre e coordinatrice degli esperimenti comportamentali dello studio – evidenzia l’importanza di studiare le mutazioni missenso al fine di comprendere meglio i meccanismi che vengono alterati e che sono alla base della patologia umana. Questo modello animale ha rivelato l’impatto della mutazione del gene FMR1 nella sequenza R138Q ed è un utile strumento di indagine per valutare l’efficacia di nuovi possibili trattamenti farmacologici per i pazienti affetti da questa particolare mutazione.”
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