Invece di assistere il padre malato, si recava a Bologna per prestare servizio in una casa di cura. Dovrà restituire 187mila euro alla Asl di appartenenza.
Anziché prendersi cura del padre malato, se ne andava a Bologna per lavorare in una casa di cura. Quello dell’infermiere di Lauria (Potenza) che nei registri della Asl risultava in permesso per assistere parenti affetti da handicap o patologie invalidanti è solo uno dei tanti casi di furbetti della Legge 104. Una sorta di jolly normativo, se vogliamo, che qualcuno si gioca per concedersi una vacanza non autorizzata o, appunto, per svolgere altre attività (lavorative e non).
Nel caso del sanitario lucano, l’illecito è doppio: utilizzo improprio del permesso e prestazione di opera professionale in un’azienda privata senza l’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza. A smascherarlo ha provveduto un’inchiesta della guardia di finanza, e ora l’uomo dovrà pagare un conto salatissimo. La Corte dei conti lo ha infatti condannato a restituire 187mila all’Azienda sanitaria da cui dipende.
Tempi duri, dunque, per chi commette questi abusi, ora passibile anche di licenziamento. Lo conferma una recente sentenza della Corte di Cassazione. “È indubbio – vi si legge – che la condotta di chi sfrutta anche una sola ora dei ‘permessi della 104’ non per assistere il parente ha, in sé, un disvalore sociale da condannare. In questo modo, infatti, si scarica il costo del proprio ozio sulla collettività. Anche volendo ritenere che le residue ore del permesso vengono utilizzate per assistere il parente, resta il fatto che una parte del permesso è stata utilizzata per scopi diversi rispetto a quelli per cui è stato riconosciuto. In questi casi è legittimo il licenziamento disciplinare del lavoratore che non adempie alle finalità assistenziali previste dalla legge”.
Redazione Nurse Times
Fonte: www.lagazzettadelmezzogiorno.it
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