Bottega: “Non è un libro contro qualcuno ma contro un sistema fondato sull’invarianza del lavoro, della sua organizzazione, di un determinato rapporto tra le professioni, di una visione prettamente economicistica della sanità e degli infermieri”. Un viaggio verso una possibiloe riforma infermieristica, accompagnati dagli scritti e dalle parole di Ivan Cavicchi
“Il riformatore e l’infermiere. Il dovere del dissenso”. Questo il titolo del volume appena pubblicato nella collana “Medicina e società” di Quotidiano Sanità Edizioni, che sarà presto disponibile anche in versione e-book.
Un libro che nasce da un’idea del sindacato infermieristico Nursind con l’obiettivo di scuotere lo scenario del dibattito utilizzando anche tesi e suggestioni “esterne” alla professione. Come quelle di Ivan Cavicchi che da anni segue l’evoluzione degli infermieri italiani sui quali il nostro editorialista ha scritto molto anche su questo giornale. E proprio dai suoi scritti su QS che nasce del resto l’idea del libro poi arricchita di altre suggestioni e riflessioni professionali, contestualizzate all’interno del quadro evolutivo della professione nel nostro Paese.
Un dibattito, quello sugli infermieri, che negli ultimi tempi si è fatto sempre più acceso attorno soprattutto alla vicenda delle nuove competenze e del comma 566 della legge di stabilità. Ma anche a questioni più “interne” alla categoria e alle sue organizzazioni professionali. A partire dalla polemica sul “doppio ruolo” della ormai past president Annalisa Silvestro e alle altre querelle intercategoriali, spesso aspre e senza risparmio di critiche forti da una parte e dall’altra.
In questo scenario il Nursind sta cercando una sua soluzione da proporre a tutta la professione per uscire dalla palude della quale abbiamo parlato col segretario del Nursind Andrea Bottega, che ha scritto anche la post fazione al volume che è stato curato da un’altra iscritta Nursind, l’infermiera Chiara D’Angelo, caporedattrice del sito web del sindacato.
“Più che dissentire da chi – ci ha detto Bottega in riferimento al titolo del libro – ci siamo posti la questione di dissentire da cosa. Il libro non è contro qualcuno bensì contro un sistema fondato sull’invarianza del lavoro, della sua organizzazione, di un determinato rapporto tra le professioni, di una visione prettamente economicistica della sanità e degli infermieri”.
Dottor Bottega, ma come nasce l’idea di questo libro?
Questo libro nasce con lo scopo di sistematizzare il dibattito, le critiche e le tematiche sviluppate in ambito infermieristico nell’ultimo anno fornendo delle proposte concrete per la soluzione del problema fondamentale degli infermieri: la post ausiliarietà, ovvero perché l’infermiere non è quello che dovrebbe essere. Per fare ciò ci siamo affidati a delle chiavi interpretative fornite da Ivan Cavicchi, dalle sue opere e soprattutto dai suoi contributi divulgati attraverso proprio Quotidiano Sanità. La speranza che ha portato Nursind alla stampa del testo è quella di creare una coscienza di categoria degli infermieri affinché inizino a pensare criticamente su ciò che accade intorno a loro (blocco del turn over, demansionamento, taglio delle dotazioni organiche, blocco contrattuale, …) e si esprimano in merito alle proposte che avanziamo per superare la “questione infermieristica”.
Quindi il riformatore che compare nel titolo è il prof. Cavicchi a cui avete chiesto di aiutarvi a ripensare la vostra professione. E’ così?
Si è così. La nostra professione ha avuto un grande slancio riformatore soprattutto negli anni ‘90 e dal quale sono nate le principali leggi che oggi dovrebbero governarla. Queste leggi il più delle volte sono rimaste sulla carta e tra “inconseguenza” e “indeterminazione” (come dice il secondo capitolo del libro), lo slancio riformatore si è come sgonfiato e tutti noi viviamo alla giornata, inseguendo i problemi ed esponendoci a ogni sorta di sfruttamento e di manipolazione. Noi vogliamo ridare vita a una strategia riformatrice, cioè vogliamo ripensare la professione in prospettiva e non solo affogare nei suoi problemi quotidiani. Con ciò vorremmo dare una mano a riunificare il nostro mondo sapendo che solo un disegno strategico ha il potere di farlo.
Quali sarebbero le questioni centrali di questa nuova strategia riformatrice?
I capitoli centrali del libro sono quelli che da una parte analizzano le strategie logore del passato proponendo delle correzioni e degli aggiustamenti e dei cambiamenti: per esempio il passaggio dal classico profilo al “reticolo professionale”, la critica alla autosufficienza della norma, il concetto di “opera” come espressione di un “autore”, il governo degli scopi, ecc.; e dall’altra sono quelli che affrontano un tema sul quale il nostro riformatore insiste da anni che è quello sviluppato nel 3° e nel 4° capitolo del valore del lavoro. Una professione ripensata ha senso se essa vale di più in tutti i sensi. Se vale di più è giusto affermarla. Ma valere di più cosa vuol dire? E rispetto a chi e a che cosa? Il libro ci dice come fare a valere di più in questo tempo e in questa situazione. Si vale di più se ripensiamo l’organizzazione del lavoro, le prassi, le relazioni, i contratti e perfino le forme retributive. Fino ad ora noi eravamo convinti che bastasse la formazione a farci valere di più ma oggi sappiamo che non è così. La formazione è importante ma la verità è che siamo pieni di laureati che valgono né più e né meno come gli altri cioè poco. Noi vogliamo definire una strategia per accrescere il valore sociale, etico ed economico della nostra professione e sfidare il tempo del limite economico, il tempo delle compatibilità, il tempo delle restrizioni, delle aziende in crisi, dei tagli lineari con un valore aggiunto che, come ci spiega il nostro riformatore guida, è possibile solo se si mette mano ad un pensiero riformatore .
L’idea guida del volume espressa nel sottotitolo è quella del diritto a dissentire, ma da chi?
Più che dissentire da chi ci siamo posti la questione di dissentire da cosa (nel libro si distingue il contestare dal dissentire). Il libro non è contro qualcuno bensì contro un sistema fondato sull’invarianza del lavoro, della sua organizzazione, di un determinato rapporto tra le professioni, di una visione prettamente economicistica della sanità e degli infermieri. Il dissenso verso tale situazione è per noi infermieri-lavoratori un dovere, per tale motivo la proposta che avanziamo è la modifica del nostro codice deontologico. I professionisti della sanità non sono più in grado di adempiere al loro dovere di cura e del prendersi cura pertanto riteniamo necessario avere strumenti deontologici che ci permettano di opporci alle politiche che negano doveri e diritti.
Nel libro si sviluppano molte idee sul futuro della professione infermieristica. Ce le vuole riassumere?
Le proposte sono il cuore del libro, sono la vera forza di quest’opera, ciò su cui chiediamo a tutti di confrontarsi. Anzitutto troviamo l’idea più volte espressa di organizzare gli stati generali degli infermieri quale momento di riflessione e progettazione delle strategie di politica professionale e sindacale per tentare di risolvere la “questione infermieristica” e superare le aporie delle competenze avanzate. La creazione di una task force contro il demansionamento, la proposta di ridefinire l’assistenza partendo dai bisogni del malato – unico vero cambiamento degli ultimi anni – e quindi dalla nostra opera professionale che si sviluppa come cura, presenza, operatività, modi di operare e che ci qualifica come autori e non più compitieri, che ci inserisce non in un sistema tayloristico ma in un reticolo professionale basato su una convenzione di punti di vista tra medici e infermieri (coevoluzione) e che ci porta a proporre un nuovo modello contrattuale e una nuova organizzazione del lavoro sono alcune delle proposte innovative che si trovano spiegate nel libro. Insomma, ci sono molte cose interessanti che puntano a riformare il sistema per far evolvere l’organizzazione del lavoro verso quei cambiamenti necessari per stare al passo con le nuove esigenze dei malati.
Gli infermieri italiani non hanno ancora maturato in maggioranza l’idea di avere un proprio sindacato autonomo. Pensa che il motivo stia nella diffidenza verso forme sindacali di categoria o piuttosto nella tradizione che vede da sempre gli infermieri rappresentati dai sindacati confederali?
Penso che il sindacalismo infermieristico autonomo abbia fatto passi da giganti considerando la giovinezza del progetto (Nursind si è costituito il 12 maggio 1998). Nursind è l’unico sindacato in Italia sorto dopo il sistema di relazioni sindacali previsto dalla riforma degli anni ’90 che sia riuscito da solo, senza affiliazioni o fusioni, a diventare rappresentativo a livello nazionale. Nessun’altra categoria solo gli infermieri, da infermieri sono riusciti a fare questo grande passo. Alle ultime elezioni RSU, Nursind è risultato il sindacato che negli ultimi tre anni è cresciuto in percentuale di più di tutti in sanità (+17%; + 3.030 voti rispetto al 2012). Certo scalfire la rappresentanza storica del sindacalismo confederale non è facile soprattutto perché in mancanza di rinnovi contrattuali e di progressioni economiche si fa valere più che la tutela e la crescita della categoria, il favore personale basato sulla ricerca del posto di lavoro più favorevole. Noi abbiamo tentato di sviluppare un pensiero di critica/proposta per provocare i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e di tutela legale per rivendicare i diritti calpestati (cause sul tempo divisa e precariato). Ci pare che i colleghi abbiano apprezzato.
In cosa si differenzia, in proposito, la battaglia del Nursind rispetto a Cgil, Cisl e Uil?
Il Nursind, anche per il fatto che è un sindacato giovane, non ha posizioni di rendita da far valere o interessi di organizzazione. Le nostre sono battaglie di sistema che partono da un chiaro presupposto che il sindacalismo confederale non può ammettere: ci sono diversità di lavori con diversità di responsabilità, non tutti siamo uguali i premi “a pioggia” o a quelli più vicini al sindacato o ai dirigenti, non li condividiamo. Le faccio un esempio di appiattimento contrattuale. Qualche tempo fa, in una ULSS del Veneto in contrattazione decentrata i sindacati confederali hanno stabilito come criterio di attribuzione delle fasce economiche il valore di anzianità lavorativa stabilendo che 1 anno da amministrativo avesse valore doppio rispetto alla annualità del professionista sanitario. Il motivo? Compensare lo sviluppo a livello nazionale delle professioni sanitarie (passaggio dalla categoria C alla categoria D) con un contratto aziendale che premiasse tutti gli altri. Come si può pensare, in una visione di sistema, che ci sia una volontà di rappresentare gli interessi degli infermieri quando si rivendicano conquiste per essi a Roma e poi in azienda li fermano la palo per far avanzare gli altri?
“Il riformatore e l’infermiere – Il dovere del dissenso”
A cura di Chiara D’Angelo
Introduzione di Ivan Cavicchi
Postfazione di Andrea Bottega
Fonte www.quotidianosanità.it
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