E’ una vicenda alquanto singolare quella di cui è protagonista a Roma una donna che aveva deciso di cambiare sesso e iniziare un percorso di “transizione” per diventare uomo. Un percorso, anche psicologico, avviato anni fa. Ma quando le terapie ormonali avevano già iniziato a produrre effetti concreti sul fisico, infatti, ha scoperto di essere incinta di cinque mesi. E ora sono in corso gli accertamenti per capire se quelle terapie abbiano causato danni al feto.
“Si tratta di un caso ultra-raro, tannto da sfiorare l’incredibile, e di una complessità psicologica e di sofferenza che mette i brividi – spiega Andrea Lenzi, endocrinologo, presidente del Comitato Biosicurezza, biotecnologie e scienze della vita -. In questa epoca di social network, in cui le parole vengono spesso usate senza pensare al peso che possono avere nella storia di una persona, il mio invito, in particolare in questo caso, è alla massima delicatezza nei confronti di una persona che sta vivendo un dramma indicibile”.
Con le terapie ormonali il corpo aveva iniziato ad assumere sembianze maschili: i peli, la barba. Quindi era seguita la mastectomia e, successivamente, il Tribunale aveva autorizzato la rettifica anagrafica del sesso e il cambio del nome sui documenti. Mancava solo l’ultimo tassello della transizione, cioè l’isterectomia (l’asportazione dell’utero).
“Purtroppo è chiaro come la persona in questione sia in gravissima difficoltà – continua Lenzi -. Una disforia di genere è una condizione che già di per sé porta a un’intensa e persistente sofferenza, causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso. In questo quadro, quando si è vicini a diventare maschio, essere in gravidanza è una cosa di una complessità infinita. La vicenda necessita quindi di grande attenzione, umana e scientifica, sia per l’equipe che in questo momento è impegnata nel fronteggiarla sia per il paziente che si trova a viverla”.
Redazione Nurse Times
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