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Scompenso cardiaco, dapagliflozin riduce l’incidenza di morte

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È il risultato dello studio DAPA-HF su pazienti con ridotta frazione di eiezione, con e senza diabete di tipo 2.

AstraZeneca ha annunciato i risultati dettagliati dello studio di fase III DAPA-HF, che ha mostrato come dapagliflozin, in aggiunta allo standard di cura, abbia ridotto sia l’incidenza di morte per causa cardiovascolare che il peggioramento dello scompenso cardiaco. DAPA-HF è il primo studio clinico sugli esiti di scompenso cardiaco condotto con un inibitore SGLT2 per valutare il trattamento dello scompenso cardiaco in pazienti con ridotta frazione di eiezione (HFrEF), con e senza diabete di tipo 2 (DMT2). Dapagliflozin è attualmente approvato nel trattamento di pazienti affetti da diabete di tipo 2. I dati sono stati presentati al Congresso ESC in corso a Parigi e confermano i dati dei risultati top-line annunciati lo scorso agosto 2019, che hanno mostrato che DAPA-HF abbia raggiunto l’endpoint primario.

I risultati dettagliati dello studio hanno mostrato che dapagliflozin, in aggiunta allo standard di cura, ha ridotto del 26% (p<0.0001) il rischio di endpoint composito primario determinato da morte per causa cardiovascolare (CV) o peggioramento dello scompenso cardiaco (definito come ricovero ospedaliero o necessità di una visita urgente) rispetto al placebo. I risultati hanno inoltre dimostrato una riduzione in ognuno dei singoli componenti dell’endpoint composito.

Michele Senni, direttore del dipartimento cardiovascolare dell’Unità Complessa di Cardiologia I, all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha commentato: “Lo scompenso cardiaco comporta il decesso di metà dei pazienti entro cinque anni dalla diagnosi e resta la prima causa di ricovero dopo il parto naturale. I risultati dello studio DAPA-HF rappresentano una svolta epocale nel trattamento dei pazienti che soffrono di questa patologia, con e senza diabete di tipo 2. Dapagliflozin diventa infatti il primo farmaco di questa nuova classe a dimostrarsi efficace nel migliorare la prognosi, la qualità di vita del paziente. Anche l’ottimo profilo di sicurezza conferma come questa molecola possa diventare lo standard di cura per i pazienti affetti da scompenso cardiaco con funzione sistolica ridotta”.

Nell’analizzare separatamente ognuno dei componenti dell’endpoint composito primario è stata raggiunta una riduzione del 30% (p<0.0001) del rischio di manifestazione di un primo episodio di peggioramento dello scompenso cardiaco e una riduzione del 18% (p<0.0001) del rischio di decesso per cause cardiovascolari. L’effetto di dapagliflozin sull’endpoint composito primario si è dimostrato coerente in tutti i sottogruppi chiave esaminati. Inoltre i risultati dello studio hanno mostrato un significativo miglioramento degli outcome riportati dai pazienti misurati attraverso il punteggio della sintomatologia del Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire e una riduzione nominalmente significativa della mortalità per tutte le cause del 17% (7.9 pazienti con evento contro 9.5 per 100 pazienti/anno) a favore di dapagliflozin.

Lo studio clinico DAPA-HF ha confermato il già noto profilo di sicurezza di dapagliflozin. La percentuale di pazienti con ipovolemia (7.5% vs 6.8%) e eventi renali avversi (6.5% vs 7.2%), solitamente motivo di preoccupazione nel trattamento dello scompenso cardiaco, è risultata paragonabile al trattamento con placebo. Eventi di ipoglicemia maggiori (0.2% vs 0.2%) sono stati rari in entrambi i gruppi di trattamento. Dapagliflozin è stato anche analizzato in pazienti affetti da scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata (HFpEF) negli studi clinici DELIVER e DETERMINE (HFrEF e HFpEF).

Redazione Nurse Times

Fonte: Dire

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