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Sara infermiera in prima linea contro il Coronavirus “La mia Pasquarantena aiuterà qualcuno a riflettere”

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Sara infermiera in prima linea contro il Coronavirus “La mia Pasquarantena aiuterà qualcuno a riflettere”
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Sara Barile infermiera in prima linea in questa emergenza sanitaria racconta la sua esperienza nella lotta al Covid-19 lanciando un messaggio ai nostri lettori.

Un racconto con dovizia di particolari che dimostrano l’enorme sacrificio fatto da operatori sanitari alle prese con un virus di cui non si conosceva nulla; riportando la sofferenza dei pazienti.

E poi ci sono loro, quelli che cercano di ridimensionare la pericolosità di questo virus.

“Signor S. stia tranquillo, non si agiti…tenga la maschera, so che è fastidiosa (non è vero che lo sai perché non hai mai provato la sensazione di fame d’aria, con un pezzo di plastica che ti schiaccia il volto mentre cerchi di respirare) ma vedrà che tra poco riuscirà a respirare meglio….”

“La signora G. non migliora, stiamo provando di tutto, speriamo solo che reagisca”.

Il signor S. mi fa il gesto di tagliarsi la gola, non può parlare, perché attaccato ad un respiratore, pensa sia arrivata la sua ora…”No, no non stai morendo devi solo resistere…passerà…(forse…speriamo presto…non so quando, pensi)”.

“Ma sei tutta irritata!!”, mi dicono i miei colleghi.

“Si perché mi lavo con l’amuchina, ho paura di trasmetterlo a mio marito e ai miei figli…”, rispondo.

“Doc, ma che ci fai qua? Non hai fatto la notte?”

“Si, ma abbiamo troppo da fare…”, mi risponde.

Potrei scrivere ancora solo per far “vedere” attraverso le mie parole quello che vedono molti di noi ogni giorno, per far comprendere a chi sento dire:

“Ma vabbè secondo me è un’esagerazione tutta sta storia, è tutto un complotto, cercano di manipolarci”.

“Ma quando finisce sta quarantena che a stare in casa sto impazzendo”.

“Finalmente si vede un po’ di gente in giro, si stanno risvegliando dalla psicosi di sto virus…”

…che per ogni lamento, per ogni regola infranta c’è un uomo, una donna, un bambino, un ragazzo fermo in un letto, con una macchina che respira al suo posto, con tubi che entrano ed escono dal suo corpo.

Per ogni persona a casa, stanca di stare con i propri cari ce n’è una che non può dire addio al proprio…

Per ogni persona annoiata perché le giornate passano tutte uguali ce ne sono centinaia addormentate che si sveglieranno, se si sveglieranno, senza averne vissuta una.

Nel frattempo con loro ci siamo noi, di cui a malapena vedono gli occhi, occhi che provano a sorridergli, che a volte trattengono lacrime, che nascondono la stanchezza.

Con loro ci siamo noi a tenergli la mano sotto quattro paia di guanti; le stringiamo per fargli percepire qualcosa che sia il più possibile simile ad un contatto umano.

Ci siamo noi con loro a combattere contro un nemico che ci spaventa a morte…perché imprevedibile, perché crudele, perché invisibile.

Con loro ci siamo noi, medici, infermieri, tecnici, operatori sanitari, che mettiamo da parte i nostri bisogni, che mettiamo da parte le nostre famiglie, che mettiamo da parte la nostra vita per dedicarla a loro…a voi…

Non ci servono riconoscimento né tantomeno applausi.

Non scrivo questo per volermi sentir dire quanto sono brava, o di non lamentarmi perché questo è il mio lavoro.

Scrivo perché vorrei far comprendere a chi non vede che i nostri sfoghi sono sensati perché vissuti.

Vorrei che tutti provassero ad essere meno egoisti.

Scrivo perché tutti capiscano che quella mascherina non priverà nessuno della propria libertà ma al contrario potrà restituircela.

Questa foto l’ho scattata alla fine di un turno e sorrido.

Si sorrido. Perché in un’altra occasione sarei stata felice di tornare a casa dopo il turno di notte, ma oggi no, oggi non sarà così…perché ho paura che tutto ritorni e che non potrò tornare dai miei cari.

Ho paura perché “quel naso che mi cola” potrebbe non essere solo un colpo di freddo; perché smontando ho lasciato l’ospedale fisicamente ma non mentalmente.

Ho paura perché ancora oggi mi sorprendo di quanto la gente sia incapace di comprendere la sofferenza dei suoi simili.

Ho paura perché ogni volta che in questi giorni penserete “dai oggi la mascherina non la metto tanto non succederà niente per una volta”, noi saremo lì ad occupare un altro posto letto vanificando sforzi e sofferenze di chi le sta affrontando.

Però continuo a sorridere perché voglio sperare…sorrido per dire grazie a chi ci supporta senza se e senza ma, sorrido…anche da sotto la mascherina.

Buona Pasquarantena.

Sara Barile, infermiera

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