Alcune sentenze forniscono legittimazione giuridica alla terza dose obbligatoria per il personale sanitario e all’estensione al personale scolastico e alle forze dell’ordine.
Una delle tesi sostenute dal popolo no vax è che l’obbligo vaccinale non è conforme alla Costituzione. Nella relazione illustrativa all’ultimo provvedimento Covid, il Decreto legge 172/2021, approvato dal Consiglio dei ministri mercoledì 24 novembre e pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 26, vengono ricordate alcune sentenze della Consulta e del Consiglio di Stato che hanno fornito sostegno giuridico alla scelta del Governo di prevedere dal 15 dicembre la terza dose obbligatoria per il personale sanitario e l’estensione al personale scolastico e alle forze dell’ordine.
“Quanto alla previsione dell’obbligo vaccinale – si legge nel documento – va considerato che il bene della tutela della salute, quale “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, è ontologicamente dualista, rilevando, da un lato, nella sua accezione individuale e soggettiva e, dall’altro, nella sua dimensione sociale e oggettiva”.
In questa prospettiva la relazione di accompagnamento del provvedimento mette in evidenza che “secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale, il diritto alla tutela della salute porta con sé “il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri” (v. sentenza n. 218 del 1994)”.
Del resto, si legge ancora nella relazione illustrativa del Dl, “lo stesso dato letterale dell’articolo 32 della Costituzione, collegando il primo e il secondo comma, sottintende che i trattamenti sanitari obbligatori di cui al secondo comma debbono essere funzionalizzati alla ‘tutela della salute’ (da intendersi quale diritto dell’individuo alla propria salute) e come ‘interesse della collettività’ (vale a dire interesse della collettività alla salute collettiva)”.
Quanto alla scelta dello strumento dell’obbligo, rispetto alla semplice raccomandazione, nella relazione illustrativa viene ricordato che “la Consulta ha affermato che il contemperamento dei molteplici principi in gioco “lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte, e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica (Corte costituzionale, sentenza n. 5 del 2018)”.
Con specifico riferimento all’obbligo posto nei confronti degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario, “l’introduzione di un siffatto obbligo- si legge nel documento – è stata giustificata dalla constatazione che la vaccinazione di tali categorie di lavoratori, unitamente alle altre misure di protezione collettiva e individuale per la prevenzione della trasmissione degli agenti infettivi nelle strutture sanitarie e negli studi professionali, ha valenza multipla: consente di salvaguardare l’operatore rispetto al rischio infettivo professionale, contribuisce a proteggere i pazienti dal contagio in ambiente assistenziale e serve a difendere l’operatività dei servizi sanitari, garantendo la qualità delle prestazioni erogate, e contribuisce a perseguire gli obiettivi di sanità pubblica”.
Ed ecco un ulteriore rimando alla Consulta: “Al riguardo, la Corte costituzionale ha chiarito che il diritto della persona di essere curata efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica deve essere garantito in condizione di eguaglianza in tutto il Paese, attraverso una legislazione generale dello Stato basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale (sentenze n. 169 del 2017, n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002). Tale principio – si legge ancora – vale non solo per le scelte dirette a limitare o a vietare determinati trattamenti sanitari, ma anche per l’imposizione degli stessi. Inoltre, la profilassi per la prevenzione della diffusione delle malattie infettive richiede necessariamente l’adozione di misure omogenee su tutto il territorio nazionale (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 5 del 2018)”.
Infine, la relazione illustrativa fa riferimento al Consiglio di Stato,che “con la sentenza n. 7045 del 20 ottobre 2021, ha respinto tutte le censure presentate con ricorso collettivo da alcuni esercenti le professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, non ancora sottoposti alla vaccinazione obbligatoria contro il virus Sars-CoV-2. Il massimo organo della giustizia amministrativa ha osservato (punto 31.1) che la vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall’art. 4 del D.L. n. 44 del 2021 per il personale medico e, più in generale, di interesse sanitario risponde ad una chiara finalità di tutela non solo – e anzitutto – di questo personale sui luoghi di lavoro e, dunque, a beneficio della persona, secondo il già richiamato principio personalista, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il pure richiamato principio di solidarietà, che anima anch’esso la Costituzione, e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili (per l’esistenza di pregresse morbilità, anche gravi, come i tumori o le cardiopatie, o per l’avanzato stato di età), che sono bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo sono di frequente o di continuo a contatto con il personale sanitario o sociosanitario nei luoghi di cura e assistenza”.
Redazione Nurse Times
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