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RSA in Piemonte: 1 infermiere su 74/76 pazienti. Livelli di assistenza adeguati?

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Grave carenza di infermieri all'Ospedale di Melfi: la denuncia della Fials
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Continuano a giungere numerose testimonianza alla nostra mail

re*******@nu********.org











sul rapporto infermieri/pazienti nelle strutture socio assistenziali, case di riposo, ecc.

Quella che vi riportiamo è l’esperienza “terribile” di una infermiera che lavora presso una residenza assistenziale sanitaria e ci scrive dal Piemonte.


Salve, non posso fare a meno di leggere i vostri articoli riguardanti le esperienze degli infermieri nelle varie case di riposo e per l’ennesima volta mi rivedo, descritta dalle parole di altri colleghi.

La mia esperienza? Terrificante come tutte quelle di cui ho letto e voglio riportarla qui per rispondere ai colleghi che si ostinano a dire che non sia così.

Il problema esiste ed è concreto, ma nessuno si interessa ad esso. Infatti, se posso, vorrei fare una piccola premessa: tutte le istituzioni, che siano i sindacati piuttosto che i vari OPI, si occupano principalmente di un’unica figura infermieristica, quella che lavora nel pubblico e so, che anche su questo fronte, le criticità sono all’ordine del giorno e siamo ben lontani dall’ottenere risultati degni della professione.

Ma credetemi, nel privato va anche peggio. Innanzitutto il cancro della professione, da questo lato, sono le cooperative, le associazioni e chi ne ha più ne metta, che assumono solo per fare numero infischiandosene altamente di chi sia davvero l’infermiere (spesso chi assume ricopre un ruolo amministrativo e non conosce nemmeno la storia della professione infermieristica).

Perché vi dico questo? Perché a me è successo, e non solo una volta, di ricevere delle domande relative a quello che il nostro mansionario prevede, senza sapere che il mansionario non esiste più. Mi è stato chiesto, per esempio, se noi infermieri possiamo praticare il cateterismo vescicale nell’uomo, e sinceramente devo ancora trovare le parole più adatte per poter rispondere, perché le uniche che ancora oggi mi vengono in mente appartengono alla categoria “imprecazioni”, categoria che non mi appartiene.

Detto ciò, lavoro in RSA in Piemonte, 1 infermiere a turno, sia mattina che pomeriggio e notte, 74/76 pazienti.

Di notte si prepara la terapia per la mattina, perché di mattina non c’è il tempo per farlo dal momento che bisogna eseguire le medicazioni varie e seguire i medici di medicina generale che vengono in struttura a “visitare” i propri pazienti.

Il pomeriggio? In quel caso la terapia te la prepari tu (per fortuna), ma devi anche somministrarla, assistere i pazienti se stanno male e tutto quello che normalmente un infermiere deve fare.

Dal punto di vista amministrativo, ogni giorno è una lotta per riemergere dalla marea di cartacce da firmare prima di andare via ad ogni turno, per non parlare delle prenotazioni degli esami diagnostici, piuttosto che della gestione della farmacia, del magazzino, dei piani terapeutici (è compito del medico dite?) e chi ne ha più ne metta. E sì, l’infermiere resta sempre uno, non si sdoppia.

Ad oggi, vicina a voltare pagina, la cosa che mi più mi lascia l’amaro in bocca è sapere che al mio fianco ho colleghi neolaureati, che accettano la situazione e la credono “normale”, che propongono iniziative volte a cercare di ridurre il carico di lavoro del tipo “prepariamo di notte tutta la terapia del giorno e non solo quella della mattina”.

E questo sì, mi delude parecchio. Perché mi sento sola a lottare per una battaglia che non può essere vinta, consapevole del fatto che dopo la laurea ci sono persone che hanno già dimenticato i principi della professione, che hanno già dimenticato cosa sono le “evidenze” e come bisognerebbe agire, che hanno già dimenticato che cos’è l’assistenza infermieristica e quando questa è di buona qualità.

Mi sento sola, non ancora vinta, ma molto vicina alla sconfitta. E allora vi chiedo di non arrendervi ad un sistema che tiene conto dei minuti che bisogna dedicare al paziente e di ricordarvi che la vostra professionalità va oltre, che fino a quando ci sarà un solo infermiere che abbassa la testa davanti a cose del genere nulla cambierà, ma quando nessuno accetterà più dei lavori del genere, allora sarà il lavoro a dover cambiare e non noi a dover dimenticare.

 

F.to. Un’infermiera, che non si arrende.

 

Ci sentiamo di rispondere all’infermiera della RSA del Piemonte: non sei sola, NurseTimes è con te e con tutti coloro che vogliono denunciare situazioni simili di sfruttamento lavorativo!

 

Redazione NurseTimes

 

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