L’exploit dello “Spallanzani”, dove è stato isolato il coronavirus, dimostra che in Italia le eccellenze non mancano. A mancare, spesso, sono i finanziamenti.
II giorno dopo la notizia dell’isolamento del coronavirus grazie al dream team di ricercatrici in forza all’Istituto “Spallanzani” di Roma, centro di eccellenza nazionale per lo studio delle malattie infettive, è un altro giorno di ordinaria emergenza. Con il bollettino medico quotidiano che ha escluso, per ora, il terzo caso in Italia (un irlandese sceso da una crociera ricoverato con sintomi simili al coronavirus). Una giornata segnata anche dalla visita del premier Giuseppe Conte, che ieri ha voluto incontrare il direttore Giuseppe Ippolito e i ricercatori che hanno isolato il virus insieme al ministro della Ricerca, Gaetano Manfredi.
Un appuntamento per sottolineare l’apprezzamento per il bei risultato scientifico – un primo passo verso il vaccino e verso l’uso di farmaci più efficaci – e per mostrare un segnale di attenzione del Governo alla ricerca, che dovrebbe materializzarsi presto in un piano di assunzioni di 1.600 ricercatori. Peccato che questo risultato, che parla di eccellenza della ricerca italiana, sia arrivato nonostante un numero impietoso, che accomuna lo Spallanzani agli altri 50 istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), i “super ospedali” che fanno ricerca e portano le ultime terapie fino al letto dei pazienti.
Il numero che parla da solo è quello dei finanziamenti. Nel 1998 ammontavano a 158,9 milioni per 32 Irccs. Vent’anni dopo quel numero è rimasto uguale. Anzi, per la precisione è aumentato di 100mila euro, arrivando a 159 milioni. Una beffa, visto che nel frattempo questi “super ospedali” sono quasi raddoppiati, passando dai 32 del 1998 ai 51 del 2018. E così il finanziamento medio per singolo Irccs si è praticamente dimezzato, passando dai 5 milioni per istituto del 1998 a circa 3 milioni vent’anni dopo (senza contare l’inflazione).
Lo Spallanzani, ad esempio, nel 2018 (ultimo anno disponile) ha incassato solo 3,5 milioni. Risorse che gli servono per gestire laboratori all’avanguardia, compreso quello di biosicurezza di livello 4 (il massimo) per fare attività di ricerca a fianco ai ricoveri (oltre 150 i posti letto). Tra questi istituti, va detto, ci sono realtà di ogni tipo, grandi e piccole, e non è escluso che ci siano anche centri non proprio di eccellenza, anche se la qualifica di Irccs si ottiene solo rispettando requisiti di qualità stringenti. E infatti tra questi 51 centri – 21 pubblici e 30 privati -, oltre allo Spallanzani, ci sono colossi delle cure e della ricerca sanitaria, come il Rizzoli di Bologna, al top nell’ortopedia, l’Istituto dei tumori, lo Ieo e il San Raffaele, tutti e tre di Milano e all’avanguardia nell’oncologia, oppure il Bambino Gesù di Roma per la pediatria, solo per fare alcuni dei nomi più noti.
A mettere in fila i numeri degli Irccs è la Fondazione Gimbe, che ha avviato uno studio su questa fetta importante della nostra sanità: «Complessivamente, in 21 anni, sono stati erogati 3,54 miliardi, e il trend del finanziamento annuale ha subito diversi alti e bassi, ma di fatto i fondi stanziati nel 2018 sono gli stessi del 1998», spiega il presidente Nino Cartabellotta, che ricorda anche l’aumento degli istituti a fondi immutati: «Il finanziamento medio per ciascun ente di ricerca è sostanzialmente precipitato: da quasi 5 milioni a 3,12 milioni. I dati dimostrano che il Paese ha investito una percentuale esigua di risorse nel finanziamento strutturale degli Irccs».
I fondi “ordinari” (per la ricerca corrente) non sono comunque gli unici messi a disposizione dal ministero della Salute. Non mancano i finanziamenti messi a bando in base ai progetti presentati e risorse ad hoc per i giovani cervelli che lavorano negli Irccs. Ma anche qui si tratta di briciole. L’ultimo bando è del 2018 e mette insieme i fondi di due anni (2016-2017): in palio 95 milioni. Risorse assolutamente insufficienti, alla luce dei progetti presentati: ne sono arrivati ben 1.719, ma alla fine ne sono stati finanziati solo 197, a cui si aggiungono 38 borse di studio per i ricercatori più giovani.
Per quest’ultimi il destino è spesso quello di un lungo precariato, come dimostra la storia di una delle tre ricercatrici che hanno lavorato all’isolamento del virus, Francesca Colavita, ancora precaria. Negli Irccs si contano migliaia di precari, come in tutto il resto del mondo della ricerca. Il ministro Roberto Speranza ha inserito però nel Decreto Milleproroghe, ora all’esame della Camera, una norma che stabilizzerà 1.600 ricercatori che lavorano per la sanità pubblica.
Redazione Nurse Times
Fonte: Il Sole 24 Ore
Lascia un commento