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Regionalismo differenziato, operatori sanitari e cittadini sono preoccupati

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ATT. PEREGO E CATTANEO - OSPEDALE NIGUARDA REPARTO DI CARDIOCHIRURGIA MEDICI PAZIENTI INFERMIERI RIANIMAZIONE SANITA' - Fotografo: FOTOGRAMMA DEL PUPPO
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Lo hanno ribadito in coro Cittadinanzattiva, Fnopi e Fnomceo nel corso di un convegno sul tema.

Da una riunione tenuta a Roma mercoledì scorso, che ha coinvolto i rappresentanti delle principali associazioni di tutela e quelli delle Federazioni degli Ordini di medici e infermieri è emerso un dato ben preciso: il cosiddetto regionalismo differenziato preoccupa sia i pazienti sia gli operatori della sanità. In particolare, le perplessità riguardano fatto che le intese sulle autonomie regionali incarnerebbero una riforma imposta dall’alto, senza confronto con fruitori ed erogatori dei servizi.

Dice Francesca Moccia, vicesegretario generale di Cittadinanzattiva: «È fondamentale che tutti i cittadini siano informati sui potenziali effetti di una autonomia differenziata. Da anni denunciamo l’aumento delle differenze territoriali nell’accesso e nella qualità delle cure. Un’autonomia differenziata, senza garanzie, non farebbe altro che acuire queste disparità». Per questo Cittadinanzattiva ha proposto una modifica dell’articolo 117 della Costituzione, che introduce il concetto di tutela della salute dell’individuo e che rappresenterebbe «uno strumento efficace per riequilibrare le differenze e riconoscere che il diritto alla salute va garantito ugualmente su tutto il territorio nazionale».

Osserva Tonino Aceti, portavoce della Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi): «Occorre mettere in primo piano gli obiettivi di salute, favorire concretamente la partecipazione dei cittadini e mettere i professionisti nelle migliori condizioni per perseguire tali obiettivi. Fino a oggi nessuna di queste componenti essenziali dell’assistenza sanitaria è stata coinvolta nel processo di regionalismo». Secondo Aceti, allora, prima di procedere oltre, sarebbe bene che il Governo «elaborasse un’analisi rischi/benefici delle proposte di autonomia differenziata presentate dalle Regioni, per misurare l’impatto di queste riforme sulla finanza pubblica, sulla tenuta di tutti i servizi sanitari regionali, sulla mobilità interregionale, sul ruolo di garante dei livelli essenziali di assistenza del livello centrale, sui diritti dei pazienti e sull’equità dell’assistenza».

Sul tema è intervenuto anche Filippo Anelli, presidente della Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo): «L’obiettivo di chi lavora in sanità è abbattere il più possibile l’incidenza e gli effetti delle malattie. Se un sistema riesce, impiegando poche risorse, a dare ottimi risultati di salute è un sistema buono, che va salvaguardato e valorizzato, non smantellato. Siamo seriamente preoccupati che, in un sistema con autonomie troppo spinte, solo poche Regioni riescano a mantenere un Servizio sanitario pubblico. Le altre, quelle che non ce la faranno, dovranno vicariare con le assicurazioni, con sistemi privati. Ma ciò aumenterà le disuguaglianze tra cittadini, tra chi potrà permettersi l’assistenza migliore e chi dovrà rinunciarci. Il rischio, in altre parole, è quello di tornare, in alcune Regioni, a prima del 1978. A noi questo scenario non piace».

Per chiedere di avviare un confronto condiviso, Cittadinanzattiva, Fnopi e Fnom, insieme al Coordinamento nazionale delle associazioni di malati cronici e a tutte le associazioni di pazienti e cittadini che vorranno aderire all’iniziativa, la prossima settimana scriveranno una lettera aperta al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.

Redazione Nurse Times

Fonte: www.healthdesk.it

 

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