Rilanciamo le considerazioni pubblicate sul blog di In Sanitas dal presidente dell’Ordine siciliano, nonché portavoce del Coordinamento regionale.
L’infermiere ha fatto un percorso di crescita professionale a partire dalla formazione universitaria, dalle competenze acquisite, dal percorso post laurea (master, laurea magistrale, dottorato di ricerca), completato con il riconoscimento ordinistico, che non ha avuto di pari passo un adeguamento contrattuale.
Il paradosso infermieristico, oggi, è quello di avere un mandato professionale irto di responsabilità, di obblighi giuridici e deontologici, e non avere un adeguato riconoscimento economico. Se ci riferiamo all’istruzione e alle condizioni di lavoro, al rispetto, all’influenza, alla ricchezza, qual è lo status acquisito dall’infermiere oggi, e di conseguenza la sua posizione sociale? Rimanendo all’interno del comparto, abbiamo subito una discriminazione e un appiattimento contrattuale verso il basso che nega l’evidenza normativa e giurisprudenziale.
Per non parlare della situazione contrattuale nel privato e di tutte le forme di ricatto esercitate (partite Iva, contratti tramite cooperative, ecc.). Recentemente i vari ministri della Sanità che si sono succeduti hanno perentoriamente affermato il loro impegno per risolvere l’ormai annosa “questione infermieristica”, a partire dalla Lorenzin, che ha determinato la trasformazione da Collegio a Ordine professionale, a significare l’inizio di un cambiamento che poteva essere concretizzato dal nuovo Contratto che stava per essere vagliato.
Purtroppo, dopo dieci anni di attesa, le giuste aspettative giuridiche ed economiche sono state disattese con l’approvazione di un Contratto che non è riuscito ad affrontare tematiche fondamentali, quali quelle delle competenze specialistiche, dello sviluppo della carriera gestionale, del Ria, dell’attività libero professionale. Un contratto nato quando già era scaduto, che è palesemente lesivo della dignità del professionista infermiere e che non ha recepito l’importante percorso evolutivo svolto dalla nostra professione negli ultimi 25 anni.
È ammissibile che non abbiamo la forza per creare un’area autonoma di contrattazione per la nostra professione, tale che possa far riconoscere la peculiarità e la particolarità del qualificato lavoro che ognuno di noi garantisce quotidianamente per il benessere dei cittadini? Consapevoli di rappresentare il 45% del capitale umano del Ssn e di garantirne il funzionamento, dobbiamo aspettare inermi il prossimo Contratto o troviamo il modo di determinare il nostro futuro professionale e sociale?
Redazione Nurse Times
Fonte: Blog di In Sanitas
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