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Pubblicare su internet immagini altrui senza consenso: quali rischi?

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Pubblicare su internet immagini altrui senza consenso: quali rischi?
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La legge stabilisce quale regola generale che si possano pubblicare le immagini e i video altrui soltanto qualora chi vi è ritratto abbia precedentemente prestato il proprio consenso alla pubblicazione.

Questa regola (Art. 10 cod. civ.; art. 96 L. n. 633/1941) vale per qualunque tipo di diffusione al pubblico, quindi anche per le pubblicazioni online, compresa la condivisione sul proprio profilo di un social network.

Il consenso della persona ritratta non è però sempre necessario, così come non sono sempre i medesimi i rischi per chi pubblica abusivamente le immagini altrui.

Quando non è necessario chiedere il consenso?

Non è necessario chiedere il consenso della persona ritratta nell’immagine o nel video solo nei seguenti casi (:Art. 97 L. n. 633/1941):

  1. a persona è nota al pubblico (es. un famoso attore) o ricopre un ufficio pubblico (es. politico);
  2. l’immagine si riferisce a fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svolte in pubblico. In questo caso l’immagine o il video devono riguardare l’evento pubblico in generale e non una o più persone specifiche (es. un primo piano di una persona tra il pubblico).

La legge esclude la necessità del consenso anche qualora la pubblicazione sia connessa a finalità normalmente estranee a chi pubblica online, specialmente sui social network. Si tratta di finalità di giustizia, di polizia, scientifiche, culturali o didattiche.

Minori

Qualora le immagini ritraggano un minore, è necessario il consenso dei genitori o di chi ne esercita la potestà.

Quanto detto finora si riferisce alla pubblicazione effettuata da privati per scopi non commerciali o di profitto. Se la pubblicazione è effettuata da soggetti pubblici (es. scuole) o da privati per scopi commerciali, professionali o comunque di profitto (mezzi di informazione, imprese, professionisti ecc.), il consenso deve essere espresso necessariamente per iscritto e dopo aver fornito all’interessato l’informativa sulla privacy (Art. 13 D.Lgs. n. 196/2003)

I rischi in caso di pubblicazione illecita

Nel caso in cui un privato pubblichi un’immagine altrui senza aver ottenuto il consenso di chi vi è ritratto, si commette un illecito di natura esclusivamente civile e l’interessato può chiedere al Tribunale di ordinare all’autore della pubblicazione o al gestore dello spazio online la rimozione immediata delle immagini o dei video.

Se la pubblicazione delle immagini ha provocato un danno, anche morale, a chi vi è ritratto, questi può chiederne il risarcimento.

Il risarcimento e la rimozione possono essere richiesti anche dai genitori, dal coniuge o dai figli della persona ritratta.

Il reato di diffamazione.

Se la pubblicazione illecita dell’immagine o del video offende la reputazione di chi vi è ritratto, chi l’ha diffusa, oltre a dover risarcire il danno, deve rispondere anche del reato di diffamazione aggravata (Art. 595 cod. pen.) e rischia la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Il reato di trattamento illecito di dati.

Chiunque pubblica immagini altrui senza averne acquisito il consenso per trarne un profitto per sé o per altri, o per recare ad altri un danno, risponde del reato di trattamento illecito di dati (Art. 167 D.Lgs. n. 196/2003) punito con la reclusione fino a tre anni.

Partiamo dal principio base per cui pubblicare un’immagine senza il consenso dell’interessato o di chi ne ha i diritti costituisce un illecito. E ciò vale anche nel caso in cui il soggetto fotografato si sia lasciato, consapevolmente, ritrarre nella foto. Infatti, il semplice consenso allo “scatto” non implica anche il consenso alla pubblicazione.

La stessa amministrazione di Facebook, al momento del caricamento di immagini, chiede espressamente che le foto siano in legale possesso di chi le pubblica.

La Cassazione (Cass. sent. 19/06/2008, n. 30664) ha poi specificato che il consenso prestato a essere ritratti in fotografia non vale come scriminante quando l’immagine è pubblicata in un contesto diverso da quello originario, se ciò implica valutazioni negative sulla persona effigiata. In forza di ciò, la Corte ha condannato un giornale che aveva pubblicato, in prima pagina, la foto di una bimba in compagnia di un gatto, a corredo di un articolo dedicato all’iniziativa di un ospedale per la pet therapy (il programma sanitario che prevede la partecipazione di un animale domestico per stimolare persone con handicap). In quel contesto, l’immagine lasciava intendere che la minore fosse in trattamento per curare l’autismo o un ritardo psicomotorio, trattandosi pertanto di un accostamento fuorviante oltre che indebito.

Ognuno di noi gestisce come meglio crede la propria immagine: può concedere il permesso, concederlo solo parzialmente (per es. permettendo la pubblicazione dell’immagine solo in siti specifici) o negarlo. Inoltre, il consenso già rilasciato in precedenza può essere, in qualsiasi momento, revocato in tutto o in parte.

Una recente decisione della Cassazione (Cass. sent. 16 maggio 2008, n.12433) ha stabilito che l’illecita pubblicazione dell’immagine altrui obbliga l’autore al risarcimento dei danni non patrimoniali e, se esistenti, di quelli patrimoniali, i quali ultimi consistono nel pregiudizio economico che la vittima abbia risentito dalla pubblicazione e di cui abbia fornito la prova in sede processuale.

In ogni caso, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la parte lesa può pretendere l’equivalente di quanto avrebbe guadagnato se avesse venduto la foto. Ci si riferisce, ovviamente, in questo caso, all’ipotesi di pubblicazione d’immagine economicamente valutabile, quella, cioè, che ritragga una persona famosa e sia stata utilizzata per fini commerciali o anche vagamente promozionali. Quando invece la foto non abbia valore commerciale perché ritrae una persona comune, allora si avrà comunque diritto al risarcimento del danno non patrimoniale (quello esistenziale, cioè, e/o quello morale che reputi – e provi – di aver subìto).

Chi vede pubblicare la propria immagine senza consenso potrà, prima di adire le vie legali, imporre la cancellazione della stessa all’illegittimo utilizzatore.

Eventualmente potrà chiederne la cancellazione anche alla piattaforma su cui l’immagine risulti pubblicata. Il decreto legislativo sul commercio elettronico (D.lgs. n. 70/2003), infatti, stabilisce che il gestore del sito risponde delle eventuali lesioni contestategli dai soggetti lesi da terzi. A riprova di ciò, la legge sulla privacy riconosce il diritto di chiedere in qualsiasi momento la cancellazione dei propri dati personali (tra cui rientrano ovviamente anche le fotografie).

Oltre a ciò, poi, v’è ovviamente la possibilità di adire il giudice penale, se la condotta illecita si concretizzi in un distorto utilizzo dell’immagine altrui e comporti una lesione della reputazione. Secondo l’art. 615bis del codice penale, infatti “chiunque, con l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procuri indebitamente notizie o immagini relative alla vita privata nell’abitazione (o altro luogo privato) ”, deve essere punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Ecco perché condividere foto su Facebook può essere un’attività assai compromettente. Una semplice svista o disattenzione può portare a conseguenze spesso non considerate, ma per certo non irrilevanti. Soprattutto laddove si tratti di pubblicazione di fotografie che ritraggano minorenni, la cui riservatezza va tutelata in maniera particolare. Lo ha confermato la Cassazione penale, che ha punito colui che pubblica su Facebook le generalità e le foto del battesimo di un infante/minore, senza il preventivo consenso dei genitori del neonato o minore.

Il consiglio del legale è dunque quello di chiedere sempre il consenso del diretto interessato prima della pubblicazione del suo volto ritratto in fotografia. Tale consenso è meglio se fornito per iscritto e poi scrupolosamente conservato. Ricordate, a riguardo, che le email non hanno, nel nostro ordinamento, valore di prova scritta. Pertanto, per stare sicuri, bisognerebbe ottenere una liberatoria firmata su un foglio di carta.

Redazione Nurse Times

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