La vicenda risale al giorno di natale del 2017. Un imputato era in servizio alla centrale operativa del118, l’altro a bordo dell’ambulanza.
Due infermieri dell’ospedale di Perugia sono sotto processo per omicidio colposo in seguito al decesso di un uomo di 55 anni per “insufficienza cardiocircolatoria acuta su base aritmica”, sopraggiunto dopo il pranzo di Natale del 2017. I due dipendenti del Santa Maria della Misericordia, di 38 e 58 anni, sono ritenuti responsabili dalla Procura di “aver privilegiato l’ipotesi meno grave di gastroenterite sulla base dei sintomi di vomito e diarrea, che non imponevano l’invio dell’ambulanza medicalizzata, rispetto alla alternativa della ricorrenza di patologia cardiovascolare, anche significativa, ipotizzabile sulla base del riferito quadro di ipertensione arteriosa e di dolore toracico”. L’udienza di ieri è stata rinviata al 23 gennaio 2020 per l’astensione dei penalisti.
La vicenda è sintetizzata nel capo di imputazione mediante il quale il pm Massimo Casucci cristallizza le accuse contro i due infermieri, il primo in servizio quel pomeriggio in centrale operativa e l’altra a bordo dell’ambulanza. Ai due viene imputata “imperizia e imprudenza nell’esercizio della professione sanitaria e nell’applicazione del manuale di regolamenti, protocolli e procedure organizzative generali del sistema 118”.
Sono le 18:28 del 25 dicembre quando la moglie dell’uomo, dipendente di un supermercato, chiama i soccorsi per segnalare il cattivo stato di salute del 55enne, che soffriva di ipertensione arteriosa: «Lamenta dolori al torace, oltre a vomito, diarrea e sudorazione». Dalla centrale operativa l’infermiere assegna un codice giallo, di media gravità, inviando sul posto un’ambulanza “priva di strumento per la rilevazione Ecg e altri presidi per il trattamento di condizione clinica anche di urgenza-emergenza (defibrillatori, farmaci inotropi, ammine vasoattive) e sprovvista di medico a bordo, così non consentendo l’effettuazione dei dovuti controlli sul ritmo cardiaco tramite monitoraggio elettrocardiografico, essendo il ritmo cardiaco patologico che ha sostenuto l’arresto sintomatico dell’arresto medesimo e trattabile con possibilità di favorevole evoluzione clinica”.
Quando l’ambulanza non medicalizzata arriva a casa del paziente, l’infermiera, successivamente indagata, “effettuava triage” e, dopo essersi sincerata sul farmaco da lui utilizzato per l’ipertensione – mentre il poveretto “continuava a lamentarsi di aver tanto dolore, non togliendo la mano dal petto” – lo “invitava a scegliere se farsi ricoverare o meno, omettendo di caricarlo in barella e, anzi, facendogli scendere a piedi quattro rampe di scale per salire in ambulanza, non ravvisando la necessità di esame Ecg”.
Il paziente è stato colpito durante il tragitto da un arresto cardiaco che, “trattato non tempestivamente da personale medico chiamato in ausilio, ne cagionava il decesso”. Tra gli elementi di colpa ravvisati dal magistrato inquirente, anche quello di “aver omesso di trasportare il paziente da casa all’ambulanza su apposita barella, nemmeno trasportata nel domicilio, così aggravando il rischio di aritmia prodromica all’arresto cardiaco”.
Tra le fonti di prova indicate dal magistrato inquirente ci sono la comunicazione di reato del Comando stazione carabinieri di Perugia Fortebraccio, la denuncia della famiglia, le loro dichiarazioni, le sommarie informazioni della vedova, il dvd contenente la registrazione della sua telefonata delle 18:58 al 118 e la relazione medico legale.
Redazione Nurse Times
Fonte: Il Messaggero
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