Una giornata di confronto con il “modello Trieste”. Nel capoluogo friulano la pratica è stata abolita.
Una giornata di studio per fare il punto sul tema della contenzione e sviluppare un percorso che porti al superamento di questa pratica che purtroppo prosegue da secoli. Si è tenuto nei giorni scorsi, a Firenze, il convegno organizzato dall’Ordine delle professioni infermieristiche interprovinciale Firenze-Pistoia e intitolato “Dalla contenzione alla protezione: aspetti giuridici e deontologici”. Al tavolo erano presenti tre professioniste sanitarie di Trieste, prima città italiana a dichiararsi “libera” da contenzione. I loro interventi si sono concentrati sulle ragioni per le quali un cambio di prospettiva è ormai necessario, insistendo sul come la contenzione non sia un atto sanitario.
Alla giornata hanno preso parte: Danilo Massai, presidente di Opi Firenze-Pistoia; Isabella Caponi, infermiere coordinatore in Rsa; Maila Mislej, direttrice infermieristica all’Asui di Trieste; Melania Salina, della direzione generale dell’Asui di Trieste; Livia Bicego, direttrice F.f. SC Professioni sanitarie dell’Irccs Burlo Garofolo di Trieste; Lucilla Nozzoli, infermiera della Sos Rischio clinico (Ausl Toscana Centro); Enrico Benvenuti, direttore titolare della Soc Geriatria di Firenze/Empoli (Ausl Toscana Centro); Monica Marini, dirigente infermieristico con incarico professionale di gestione infermieristica Firenze – Dipartimento infermieristico e ostetrico Ausl Toscana Centro.
«Non molti giorni fa, il Consiglio regionale della Toscana ha approvato il Piano sanitario e sociale integrato per 2018-2020 – ha detto Danilo Massai –. Siamo soddisfatti che tra gli emendamenti approvati ci sia anche quello relativo ai sistemi contenzione, che ribadisce il loro essere una violazione dei diritti fondamentali della persona. L’emendamento, al netto delle eccezioni previste dalla legge e relative a casi di emergenza o pericolo, proietta la Toscana verso il superamento definitivo di ogni forma di contenzione. Un risultato che pone la nostra regione sulla scia di quanto già raggiunto a Trieste, esempio da seguire in quanto città capofila in Italia per l’abbandono del metodo della contenzione».
Sono passati poco più di due anni da quando, a settembre del 2017, la governatrice del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, ha sottoscritto la Carta di Trieste sulla non contenzione. “La contenzione, sia essa meccanica, farmacologica o ambientale – si legge al punto 4 del documento – deve essere eliminata dalle pratiche sociosanitaria in quanto incompatibile con la garanzia costituzionale della libertà, così come il principio di dignità della persona”.
Un risultato che ha messo nero su bianco un concetto affermato fin dall’inizio degli anni 2000 proprio nel capoluogo friulano, e che ha visto tra le maggiori sostenitrici e promotrici la dottoressa Maila Mislej, che nel corso del convegno fiorentino ha detto: «Trieste è stata la prima città al mondo a liberarsi dalla contenzione, e non parlo solo di contenzione meccanica ma anche di quella farmacologica che comporta un iper-dosaggio di psicofarmaci. Già nel 2014, nelle 90 case di riposo pubbliche e private del territorio, a Trieste, non si praticava più la contenzione. A muoverci è stata la convinzione che le case di riposo non debbano essere carceri ma “case di vita”, dove agli anziani sia garantita libertà e dignità. Il primo passo è stato formare il personale, facendo capire che la contenzione è una pratica inefficace poiché non centrata sulla persona e sui suoi reali bisogni. Non si tratta solo di garantire il diritto alla libertà del nostro corpo, sancito dall’art 13 della Costituzione, ma anche di assicurare qualità delle cure e dell’assistenza poiché un’ampia letteratura scientifica dimostra come la contenzione meccanica e farmacologica facciano malissimo al malato e all’anziano, ma anche al bambino. Nessuna età è esente da quella che io definisco la madre di tutte le cattive pratiche e di un nursing disabilitante che toglie funzioni alla persona anziché rinforzarle o rivitalizzarle. Inoltre è sciocco da parte di un’istituzione spendere moltissimo denaro per guarire una persona dalla malattia (attraverso trapianti, sostituzione di valvole ecc.) e non far entrare i familiari almeno nelle 12 ore diurne oppure non spendere 50 o 100 euro per un operatore di sostegno (oss) da affiancare al malato in ospedale quando c’è il timore che possa togliersi un device durante la notte perché confuso».
Ha aggiunto Mislej: «Mi auguro che quanto fatto a Trieste diventi presto la normalità e non l’eccezione e che presto questo modello di assistenza sia applicato in ogni realtà. Già da tempo siamo diventati un caso di studio: esperti da tutta Italia e da altri paesi del mondo vengono a vedere, non senza un po’ di incredulità iniziale, come sia possibile, a Trieste, assistere anziani e persone con patologie psichiatriche senza usare la contenzione. Il concetto che ci muove è molto semplice: la libertà è un diritto essenziale ed esserne privati rende la vita insopportabile. Perché allora sottoporre un anziano o un malato a una sofferenza del genere? Il nostro obbiettivo non è forse aiutare e assistere le persone? Anche ai familiari spieghiamo chiaramente questo aspetto: è vero che con il nostro metodo il paziente ha una minima probabilità in più di cadere o farsi male, ma non sono questi i rischi della vita di tutti noi? La vita è anche rischio. Ospedali e Rsa non possono e non devono diventare prigioni. E a chi non fosse ancora convinto consiglio di provare su di sé la contenzione: noi lo abbiamo fatto in alcuni corsi di formazione e nessun operatore o infermiere ha più avuto dubbi».
Redazione Nurse Times
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