Interpello al ministro del Lavoro e all’Inps sul disposto dell’art. 33, comma 3, Legge 104/92.
È capitato spesso di dover rispondere a quesiti posti da molti colleghi infermieri rispetto alla prassi, a nostro avviso del tutto illegittima, di alcune aziende ospedaliere di computare al personale turnante che usufruisce dei permessi di cui all’art. 33, comma 3 della Legge 104/92 ben due giornate di permesso anziché una, con la scusa che, visto che il turno notturno (che di norma va dalla 21 alle ore 7, salvo qualche differenza da azienda ad azienda) si pone esattamente a cavallo tra due giornate di lavoro: la prima che vede l’infermiere iniziare il turno alle 21.00 e finirlo alle ore 24; la seconda che va dalle 24 alle ore 7.
Chi, quindi, per ragioni del tutto personali e inopinabili, decideva di usufruire del permesso 104 durante il turno notturno si vedeva decurtati ben due giorni di permesso 104, anziché uno: il primo che copriva il giorno precedente e il secondo a copertura del giorno successivo.
Tale prassi, ad avviso di scrive, non solo sembrava inconsueta, ma addirittura profilava dei limiti di legittimità Costituzionale, ancorché di legge, poiché ritenevamo, giustamente, che non si poteva far scontare direttamente al dipendente, che necessitava dei relativi permessi per assistere il proprio parente disabile e/o invalido, la mancanza di una regolamentazione univoca su tutto il territorio nazionale.
Infatti la nostra ipotesi, del tutto in linea con l’interpretazione letterale della normativa sia nazionale che comunitaria, aderiva alla considerazione logico-giuridica che, se per “permessi giornalieri” dovevano intendersi l’intera giornata di lavoro, questa non poteva suscitare differenziazioni tra una giornata data in regime antimeridiano piuttosto che in regime notturno, posto che il personale turnante che svolge la propria attività durante il turno notturno deve necessariamente avere, parimenti, lo stesso trattamento e non può quindi essere soggetto a discriminazioni di sorta.
In effetti non è una scelta diretta del dipendente quella di articolare il turno notturno dalle 21/22 alle ore 7, ma solo una modello organizzativo tipico delle aziende ospedaliere. Quindi meramente interno all’organizzazione e, come tale, non può pregiudicare gli istituti come quello della 104 solo perché non si è voluto, ad esempio, istituire un turno aggiuntivo, di talché, il turno notturno sarebbe risultato invece che dalle 21 del giorno precedente, dalle 24 della stessa giornata. In questa circostanza non si sarebbe verificata nessuna differenziazione rispetto a quei dipendenti che invece optavano per l’uso dell’istituto solo ed esclusivamente nei turni antimeridiani.
Peraltro non abbiamo mai potuto riscontrare positivamente con nessuna azienda ospedaliera, sia essa pubblica o privata, la nostra tesi, che ci vedeva certamente favorevoli alle esigenze del dipendente piuttosto che a quelle dell’azienda.
Abbiamo quindi condotto aspre battaglie in favore della nostra ipotesi, battaglie sfociate poi con la decisione di spostare l’onus probandi sulla correttezza o meno delle nostre ipotesi agli organi istituzionalmente preposti a ciò, ossia il ministero del Lavoro e l’Inps, i quali, prontamente interpellati, hanno sancito che la nostra ipotesi giuslavoristica era ed è, a tutti gli effetti, del tutto lecita e legittima. Concludendo: nei casi i cui il dipendente debba usufruire dei permessi 104/92 durante il turno notturno, non debbono essere computate due giornate di permesso, ma solo una. È l’ennesima battaglia vinta in favore degli infermieri, sempre più spesso penalizzati ed emarginati.
Dott. Carlo Pisaniello
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