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Pensieri…di un’infermiera. Passione per la professione

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L’unico modo di fare un ottimo lavoro è amare quello che fai. Se non hai ancora trovato ciò che fa per te, continua a cercare, non fermarti, come capita per le faccende di cuore, saprai di averlo trovato non appena ce l’avrai davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continua a cercare finché non lo troverai. Non accontentarti. Sii affamato. Sii folle.
Steve Jobs
 infermiere di famiglia
Questo aforisma consegnato alla storia da un uomo che ha fatto diventare grande la sua azienda e che amava molto il suo lavoro, lo stesso amore che accomuna molti uomini e donne alla professione di infermiere.
L’amore e la passione per una professione che a volte anche se non ti ripaga abbastanza sotto alcuni aspetti, tipo quello economico, sicuramente ci restituisce tutto sotto forma di umanità e sensibilità, ci riempie l’animo attraverso il sorriso di un bambino che guarisce e che ritrova il piacere di vivere, o che vede la luce per la prima volta…un rapporto diretto con la sofferenza della gente che ripone nel professionista infermiere le sue speranze, le sue paure. Questo rapporto particolare con il paziente che fa dell’infermiere il suo interlocutore privilegiato proprio perchè è questa figura sanitaria che trascorre più tempo con il paziente.
Di seguito vi proponiamo alcuni pensieri raccolti nel web che appartengono ad una infermiera, Veronica Gargiulo, che riprendono alcuni momenti di vissuto professionale, criticità, riflessioni di un’infermiera che crede nella professione e nei valori che quotidianamente esprime. Una professione dall’alto valore sociale a volte poco riconosciuta.

 

Ore 2 :00 “tumefazione del volto , ecchimosi diffuse, riferita violenza domestica

La paziente viene accompagnata a letto. Purtroppo nessuno pensa che in questo momento c’è qualcosa di ancora più tumefatto e lacero contuso: l’anima. Non parla, come donna vorrei dirle tante cose, mi rendo conto però che in questo momento bisogna rispettare il senso di vergogna e di colpa che in alcune donne sopraggiunge dopo tali eventi. In Italia il supporto psicologico per il paziente e’ inesistente, chi lavora nei reparti si trova molte volte a sostituire questa figura. Non siamo missionari come dico tante volte ma professionisti che cercano di dare dignità ad una persona. La paziente una volta arrivata a letto chiede di parlare con il medico, vuole ritornare a casa, il coraggio di uscire da quell’incubo, dove silenziosamente vive da tempo è passato. La notte può nascondere, la luce del giorno mostrerebbe quello che nessuno o pochi devono sapere. Firma e va via…ringrazia.

Come donna mi sento arrabbiata, come professionista avvilita e penso a quanti casi di questo tipo vengono ricoverati; pazienti che non hanno bisogno di tecnica ma di sostegno, cosa che credo non abbia saputo dare a quella donna!!

Da ciò nasce il mio senso di avvilimento

 

Una studentessa mi ha chiesto: “non hai paura di sbagliare?” Riflettevo su quanto l’esperienza mi abbia fatto cambiare di fronte alla paura di sbagliare, che mi ha fatto vivere con angoscia i miei primi anni di esercizio professionale, finché un grandissimo collega mi ha fatto capire che la peggiore condanna che possiamo ricevere per aver commesso un errore ce la costruiamo noi stessi. Se di fronte ad esso ci condanniamo come sbagliati o falliti, non solo non li accetteremo mai, ma continueremo a commetterli. Così con il tempo ho capito che la crescita di un professionista sta proprio in questo: accettare i propri limiti!

 

Paziente di 85 anni  mi chiede: “stanca?” In effetti fu una giornata impegnativa! Ci preoccupiamo sempre di dare il massimo…per cui rifletto: al mondo ci sono persone che sanno sentire, altre invece ascoltare, alcune guardare, altre osservare e quando si entra in corsia a volte non ci si accorge (causa carichi di lavoro) quanto siamo osservati e ascoltati. Pazienti, persone, da cui si può anche imparare perché bagagli di vita!

 

Giorni fa in un post ho commentato la mia passione per la professione…ho ricevuto molte condivisioni, indice che tantissimi colleghi condividono e svolgono la professione con altrettanto amore. In questi giorni sono comparsi sfoghi di studenti tirocinanti, che spiegano di lasciare gli studi a causa della delusione che hanno riscontrato nell’affacciarsi verso la professione. Rifletto sulle tante parole che hanno usato: “non passerò la mia vita a fare letti o cure igieniche..cose che non mi competono”. Per quanto mi riguarda la professione mi ha dato tante soddisfazioni ma anche molte delusioni. E così se permettete vorrei scrivere io una lettera a questi studenti:

Cari studenti

a scrivere è un’infermiera con un’enorme passione per il suo lavoro. Sono la prima a chiedervi scusa per alcuni colleghi che secondo voi non sono bravi, ma vi assicuro che insegnare, trasferire i saperi, non è sempre così semplice e non tutti sono in grado di trasmettere la passione per la professione ma questo non vuol dire che non ci sia.

Voi vi affacciate da poco verso “questo mondo” ma per chi ci lavora da tanto vi assicuro che non è semplice. Cari studenti quante cose facciamo che non ci competono che a volte ci fanno sentire insoddisfatti? Sapete perché continuiamo a farlo? Non dimentichiamo mai che su quel letto c’è una persona e non un foglio di carta. Purtroppo leggi, istituzioni, crisi economica non ci danno una mano. Lavoriamo in condizioni critiche e con tante responsabilità, che a volte ci logorano. Non vi arrendete credetemi, anche per noi non è semplice ma lasciare significa darla vinta al sistema! Continuate a lottare per i miglioramenti come stiamo facendo noi! Ma non fine alla professione ma per migliorare l’assistenza verso il paziente che ha tutto il diritto di avere! Non siate sfiduciati da chi non svolge bene la professione! Sappiate imparare dove si può imparare, perché vi assicuro che questo è un principio di vita. Sappiate che il vero insegnante si sente soddisfatto quando il suo allievo (studente) lo supera. Questa è una professione dura che comporta sacrifici, rinunce. Voi siete il continuo delle nostre lotte! Non arrendetevi! Continuate e ricordate: senza sacrifici non si ottiene nulla! Non finalizzate tutto solo alla critica ma sappiate anche costruire.

Vi abbraccio

 

Ieri in un post è stata fatta una domanda riguardo all’acidità che sembra appartenere ad alcuni infermieri del vecchio ordinamento. Questo ha scaturito diverse riflessioni, a mio avviso tutte giuste. Quella che mi ha fatto maggiormente riflettere è stata la seguente: “La vita ci cambia”. Più che riflettere, sorridere perché in tanti anni ho sempre pensato che sia stata la professione a cambiarmi un pochino. Appartengo al vecchio ordinamento (preciso che continuo a studiare da autodidatta, aggiornandomi) ho una grande passione per la clinica, e non ho nessuna intenzione di lasciarla. La preparazione e la professionalità non sono solo teoria e tecnica ma penso che stiano nella capacità che abbiamo nel migliorarle. Abbiamo lavorato con risorse minime, ricordate i prelievi fatti con le siringhe e gli emogasanalisi con siringhe da 5 cc eparinate? Abbiamo cercato di elevare la nostra professione dimostrando che non eravamo solo manovalanza, ma professionisti con conoscenze in grado di elaborare piani assistenziali. Se oggi siamo arrivati a questo punto lo si deve al vecchio ordinamento e quel che non c’è alla solita classe dirigenziale, vecchi infermieri a volte delusi ma pur sempre appassionati di questa professione che per quasi tutti è un grande amore a cui si dà tanto! Sebbene ci si lamenti perché a volte da poco! Si continua ad amarla sempre perché se è vero che infermiere si “nasce” o lo si “diventa” è pur vero che lo si rimane per sempre! Spero davvero nel nuovo ordinamento che sappia elevare sempre più questa mia amata professione!

 

Avevo 24 anni quando ho iniziato questa professione, ora ne ho 41….non conto più quanti aghi cannula ho inserito, i km percorsi nelle unità operative, delle urgenze fatte. La mia vita è trascorsa parallelamente a questa professione, perché come ho sempre sostenuto questa divisa una volta che la indossi non la togli più. A differenza di molti lavori ti condiziona molto, nel bene e nel male. Una volta un mio collega mi disse: “un infermiere lo capisce solo un infermiere!” Con il tempo gli ho dovuto dare ragione. Ho vissuto tutto di questa professione gli aspetti belli e brutti. A volte l’ho vissuta con molta conflittualità perché non riuscivo più a trovare un equilibrio fra me e lei, che mi permettesse di avere serenità nella mia quotidianità. Eppure a distanza di tempo sono d’accordo con quello che mi ha detto un collega, che è una delle poche professioni che permette di dare e ricevere amore. Questo concetto va oltre quel che può essere la preparazione professionale ma rientra in un pensiero di umanità, che spinge molti colleghi a mettere a disposizione le loro competenze ad associazioni umanitarie per garantire oltre l’assistenza, valori umani e DIGNITÀ.

Grazie Veronica Gargiulo…grazie a tutti gli infermieri che nel loro quotidiano ci mettono tutta la loro passione e tutto il loro amore!

Giuseppe Papagni

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