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Paziente affetto da paralisi totale riesce a comunicare “con il pensiero”

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Paziente affetto da paralisi totale riesce a comunicare "con il pensiero"
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Un uomo di 36 anni con sclerosi laterale amiotrofica, è riuscito a esprimersi attraverso una metodica detta brain-computer interface.

Non si può nemmeno lontanamente immaginare cosa si provi nella terribile situazione di tutti quei pazienti affetti da patologie che costringono il soggetto alla paralisi totale. L’impossibilità di comunicare, non poter esprimere i propri disagi o desideri con nessuna  parte del corpo è una prigionia devastante. E’ come essere chiusi dentro un corpo che non ti appartiene più.

Una nuova speranza per questi pazienti proviene però da uno studio pubblicato su Nature Communications e condotto nel 2020 da Ujwal Chaudhary, ingegnere biomedico del Centro Wyss per la bio e neuro-ingegneria di Ginevra (Svizzera). Un uomo di 36 anni, affetto da sclerosi laterale amiotrofica, con completa paralisi dei muscoli, anche quelli oculari, è riuscito a comunicare attraverso una metodica detta brain-computer interface.

Sono stati  posizionati al paziente, tramite intervento chirurgico, degli elettrodi intracorticali nella corteccia motoria, che registrano i segnali neuronali. Questi segnali neuronali, dopo mesi e mesi di tentativi vani e tramite la tecnica dei neurofeedback, si sono “trasforrmati in parole”, insegnando a controllare le onde celebrali.

Al paziente è stato proposto un tono, poi gli è stato chiesto di provare a riprodurlo, partendo da un tono diverso e modulandolo con il pensiero. Il tono cambiava a seconda degli impulsi provenienti dai due elettrodi, mentre il paziente immaginava di muovere gli occhi. In questo modo, dopo tanto esercizio, il paziente è riuscito a riprodurre il tono che gli era stato proposto. Ha quindi avuto a disposizione un sistema per dire “no” con un tono e “sì” con un altro.

Dopo un anno, si è riusciti a far comporre al soggetto intere frasi attraverso l’utilizzo di un computer che raggruppa un certo numero di lettere. In questo modo il paziente è riuscito a comunicare il suo desiderio di mangiare e bere una birra, e sopratutto ha lasciato un messaggio a suo figlio: ” Voglio bene a quel figo di mio figlio!” .

La tecnica non è ancora perfetta. Per ora è personalizzata sul soggetto e purtroppo, con il passare del tempo, le frasi elaborate risultano meno chiare rispetto ai primi tempi. Le cause sono poche chiare, ma si suppone che vadano ricercate nel deterioramente degli elettrodi. Insomma, la strada è ancora lunga, ma percorribile. Un percorso difficile, ma che potrebbe garantire a questi pazienti una migliore qualità della vita. Finalmente persone immobili potrebbero esprimere le loro volontà e scegliere liberamente anche su temi critici come l’eutanasia.

Una chiave per aprire lo “scafandro” dove milioni di persone sono “rinchiuse” prima o poi sarà trovata, come auspicava nel suo libro Lo scafandro e la farfalla il giornalista Jean-Dominique Bauby, paralizzato dopo un ictus: ” C’è nello spazio una chiave per aprire il mio scafandro? Una metropolitana senza un capolinea? Una moneta abbastanza forte per riscattare la mia libertà? Bisogna cercare altrove. Ci vado”.

Valeria Pischetola

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