Uno studio statunitense pubblicato su Nature ha descritto un sistema innovativo che ha permesso a un ragazzo totalmente paralizzato di muovere un arto: grazie ad un chip impiantato nella corteccia motoria del cervello e ad un sistema high-tech in grado di bypassare la lesione, il giovane è tornato infatti a muovere la mano e ad effettuare normali gesti di vita quotidiana.
Era il 2010 e il giovane Ian Burkhart, 24 anni, stava correndo verso l’Oceano Atlantico. Si è tuffato in acqua, ma un banco di sabbia nascosto dalle onde gli ha causato una seria frattura del collo; con importante danno al midollo spinale che gli ha purtroppo causato una paralisi totale a tutti e quattro gli arti.
Ora però, grazie ad una sperimentazione portata avanti dai ricercatori Chad Bouton (Feinstein Institute for Medical Research, Manhasset, New York), Nick Annetta (Battelle Memorial Institute, Columbus, Ohio), Ali Rezai (Ohio State University, Columbus), e colleghi e pubblicata nella rivista scientifica Nature, il ragazzo è tornato ad afferrare, manipolare e rilasciare oggetti. Piccoli e “normali” gesti di vita quotidiana che per lui erano diventati totalmente impossibili. Fino a questa sperimentazione.
Come è stato possibile far tornare ad utilizzare le mani ad una persona le cui vie nervose discendenti sono interrotte? Beh… non potendole “aggiustare” (le competenze scientifiche, ad oggi, non permettono di riparare un tessuto nervoso danneggiato), si è pensato di eluderle: il sistema utilizza infatti i segnali registrati nella corteccia motoria e li trasmette, grazie ad un chip impiantato nel cervello e tramite un sistema ad alta tecnologia, ai muscoli; “bypassando” così la lesione e ripristinando il controllo degli arti “perduti”.
Fino ad oggi erano stati pensati e sperimentati diversi sistemi in grado di tradurre l’attività neurale in segnali di controllo per vari dispositivi (come ad esempio braccia robotiche, esoscheletri, ecc). Tuttavia, finora nessun approccio aveva avuto un successo di questo tipo nel ripristino dei movimenti di parti anatomiche umane. Gli esperti hanno usato algoritmi di apprendimento automatico per decodificare l’attività neuronale e controllare l’attivazione dei muscoli dell’avambraccio attraverso un sistema di stimolazione elettrica neuromuscolare.
Dopo l’impianto, per poter usare al meglio il sistema, il giovane Ian ha affrontato 3 sedute a settimana di fisioterapia per 15 mesi. Questo nuovo allenamento gli ha permesso di articolare un singolo dito e di compiere 6 diversi movimenti del polso e della mano. Ma soprattutto, come spiegano gli studiosi, gli ha permesso di eseguire compiti funzionali alla vita quotidiana, come afferrare una bottiglia, versarne il contenuto in un barattolo e utilizzare un bastoncino per mescolare.
Per far sì che gli importanti risultati ottenuti siano più ampiamente applicabili, gli scienziati sottolineano come ulteriori miglioramenti di questa tecnologia (agli albori) siano necessari. Gli autori si dicono comunque convinti che questo loro studio è un tassello importante che farà avanzare la tecnologia delle ‘neuroprotesi’ dedicate alle persone paralizzate.
Fonte: AdnKronos
Immagine: Youtube, canale Sky News
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