La Cassazione (e prima per la Corte d’Appello e il Tribunale) ha condannato (anche se è scattata poi la prescrizione) per esercizio abusivo della professione infermieristica un’ostetrica assunta quale infermiera nel 1994 in una Rsa mentre era ancora in vigore il Dpr 163/1975 che consentiva all’ostetrica di “praticare tutto quanto è consentito dalle disposizioni in vigore agli infermieri professionali”
L’ostetrica non può fare l’infermiera, anche se per conseguire il titolo utilizzato all’atto della sua assunzione quale infermiera nel 1994 in una Rsa, era ancora in vigore il Dpr n. 163 del 1975, il cui art. 7 consentiva all’ostetrica – professione per cui l’odierna imputata aveva conseguito regolare abilitazione professionale, all’epoca ottenibile solo dopo il rilascio del diploma di infermiere – di “praticare tutto quanto è consentito dalle disposizioni in vigore agli infermieri professionali”.
In forza di questo principio secondo l’imputata ricorrente si sarebbe dovuto ritenere corretto lo svolgimento dell’attività infermieristica, con conseguente applicabilità della norma di salvezza dettata dall’art. 4 della legge n. 42/1999, contestualmente alla disposta abrogazione del Dpr del 1975.
Ma per la Cassazione (sentenza 37767/2018 sezione 6 penale) e prima per la Corte d’Appello e il Tribunale, non è così e i giudici l’hanno dichiarata colpevole del reato previsto e punito dall’art. 348 cod. pen., per esercizio abusivo della professione infermieristica.
Il fatto
Una ostetrica, in possesso di questo titolo rilasciato nel 1993, è stata assunta in una Residenza Sanitaria Assistita (RSA) sua datrice di lavoro fin dal 1997, con ” contratto di assunzione in quelle forme”, cioè della professione infermieristica. Secondo i giudici però doveva “ritenere sussistente – così come eccepito con l’atto di appello – ‘quanto meno il dubbio’ circa ‘la coscienza e volontà di svolgere abusivamente la … professione’ medesima. Donde il carattere non conferente ed eccentrico della risposta fornita dalla Corte distrettuale, a detta della quale risulterebbe assorbente, in senso contrario, la decisione di rivolgersi a un legale, così come il mancato previo contatto con l’ordine degli infermieri, per tema di una denuncia”.
La sentenza
Secondo la Cassazione i termini della vicenda sono chiari:
a) che l’ostetrica sia stata assunta nel 1997, in forza di regolare contratto, per svolgere la professione d’infermiera presso la Residenza Sanitaria Assistita deputata a ospitare pazienti anziani di entrambi i sessi;
b) che la stessa sia in possesso del solo titolo di ostetrica, rilasciatole nel 1993 dalla Scuola di Ostetricia annessa alla Clinica ostetrica e ginecologica dell’Università di Cagliari.
E la cassazione sottolinea a questo proposito che “indubbio è che le figure professionali dell’infermiere e dell’ostetrica sono fra loro profondamente differenti, essendo disciplinate da due diversi decreti ministeriali – nell’ordine, il n. 739 ed il n. 740, entrambi recanti la data del 14 settembre 1994, a firma del Ministro della sanità pro tempore – che forniscono la definizione delle due figure e delle relative professioni e delimitano l’ambito della loro attività”.
Dunque, “l’infermiere è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, è responsabile dell’assistenza generale infermieristica”, assistenza principalmente deputata alla “prevenzione delle malattie”, alla “assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età” ed alla “educazione sanitaria”.
L’ostetrica, per parte sua, “è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, assiste e consiglia la donna nel periodo della gravidanza durante il parto e nel puerperio, conduce e porta a termine parti eutocici con propria responsabilità e presta assistenza al neonato”.
Né per la Cassazione vale il fatto che al momento dell’assunzione non fosse ancora in vigore la legge 42/1999 “in quanto la corretta esegesi di detta norma impone di ritenere che essa si limitasse a riconoscere l’esercizio dell’attività infermieristica da parte dell’ostetrica, solo se connessa ai compiti a quest’ultima demandati, così come già correttamente opinato dal giudice del Tribunale”.
In questo senso la Cassazione si appoggia a una diffusa giurisprudenza amministrativa.
Afferma la sentenza 1729/2001 del Consiglio di Stato che “Le funzioni d’infermiere professionale non possono essere legittimamente attribuite, in modo continuativo e normale, ad un’ostetrica, al di fuori della connessione con i compiti ai quali essa è professionalmente chiamata”.
Sentenza conforme ad altra della stessa Sezione del Consiglio di Stato, con cui si statuiva che, “Tra i compiti accessori delle ostetriche rientra anche quello di effettuare, nei riguardi delle malate, una diretta assistenza di carattere infermieristico, purché tale compito sia attinente alla competenza professionale delle ostetriche ed abbia carattere strumentale, residuale e sussidiario” (sent. 998/1993).
Ed anche la giurisprudenza dei TAR sostiene che “L’art. 7 D.P.R. 7 marzo 1975, n. 163, consente all’ostetrica di svolgere le attività proprie degli infermieri professionali in connessione alla sua attività per l’ assistenza alle gestanti, alle partorienti e alle puerpere; pertanto è illegittimo l’ordine di servizio che assegna all’ostetrica esclusivamente mansioni proprie dell’infermiere, quale è quella di somministrazione dei vaccini” (TAR L’Aquila, 20 gennaio 1998 n. 141).
Quindi la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Redazione NurseTimes
Fonte: www.quotidianosanita.it
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