Il rifiuti di iniettarsi con regolarità l’insulina è costato la vita alla giovanissima Natasha Horne.
Natasha Horne, di Middlesbrough, era una giovane come tante alter. Dopo aver lasciato il college, aveva provato diversi lavori, ma stava ancora cercando di trovare la propria strada.
Negli ultimi due anni, tuttavia, era passata da una condizione di sovrappeso a essere molto emaciata, tanto da perdere metà del proprio peso corporeo. La madre, manager di una farmacia, dopo aver notato anche altri sintomi, quali l’eccessiva sete e la poliuria notturna, aveva finalmente convinto la figlia, nell’ottobre 2017, a sottoporsi ad un test diagnostico, per il controllo dei valori glicemici.
Il responso era stato un autentico shock per Natasha: diabete di tipo 1. Una patologia che, se adeguatamente trattata e tenuta sotto controllo, non impedisce di vivere una vita normale. Ma non è stato così per la ragazza. Per lei, da quel momento in poi, la malattia si è trasformata in una sentenza di condanna a morte.
Benché appassionata di tatuaggi e piercing, la giovane aveva infatti paradossalmente rifiutato, fin dall’inizio, l’utilizzo di siringhe e aghi per iniettarsi con regolarità l’insulina. Non aveva inoltre rivelato praticamente a nessuno dei suoi amici di soffrire di diabete e respingeva con ostinazione il disperato supporto offerto dai genitori, che considerava “una rottura”, tanto da essersi trasferita a vivere con il fidanzato, a seguito dell’ennesimo diverbio familiare.
La totale assenza di compliance alle indicazioni terapeutiche aveva portato perciò Natasha a essere vittima di ben tre attacchi di chetoacidosi in pochi mesi, fino al decesso, avvenuto per un presumibile coma diabetico, in casa di amici, nella notte del 22 agosto.
Nel sottolineare come la figlia avesse semplicemente e deliberatamente scelto di ignorare le gravi conseguenze legate alla sua patologia, i genitori della giovane inglese hanno deciso di impegnarsi affinché la sua morte non risulti vana, ma diventi un esempio volto a sensibilizzare soprattutto le nuove generazioni. Gli organi di Natasha sono pertanto stati destinati alla ricerca sul diabete e, in occasione del funerale sono stati raccolti fondi, in favore delle associazioni di beneficenza (charities) attive in questo ambito.
Ha affermato la madre, Jackie: “Non bisogna credere che il diabete sia qualcosa di cui essere imbarazzati. Anche un maggiore aiuto per i genitori andrebbe bene. È solo per il mio lavoro che sospettavo. Il primo attacco avrebbe potuto essere il suo ultimo. È una questione di accettazione ed educazione. Puoi sviluppare la patologia in qualsiasi momento della vita e non deve essere ereditaria. Anche le persone adulte, ora, si approcciano a me dicendo: ‘non sapevo che si potesse morire di diabete’. Abbiamo provato tutto il possibile. Ora, mentre non possiamo riportarla indietro, possiamo aiutare a rendere le persone consapevoli. Ordinavo il suo farmaco per lei, per assicurarmi che ce l’avesse a portata di mano, poi lo facevo spedire e consegnare a casa. L’unica cosa che non potevo fare era iniettarlo nel suo corpo. La sua morte era totalmente prevenibile ma, guardando indietro, non so che altro avremmo potuto fare. Ora, se possiamo salvare una vita o evitare che un gruppo di genitori debba passare attraverso quello che stiamo passando, ne sarà valsa la pena”.
Luigi D’Onofrio
Italian Nurses Society
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