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Neonati, il pianto può rivelare reflusso gastroesofageo e altri disturbi

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Quando i bambini hanno pochi mesi possono esprimersi solo in un modo: piangendo. Ma è difficile capire che cosa vogliono comunicarci, quali necessità, quali dolori. Uno studio condotto in Italia ha cominciato a decodificare il loro pianto, analizzandone frequenze sonore, intensità e altri parametri.

Sono i primi passi, ma in questo modo i ricercatori hanno determinato non solo quali sono le caratteristiche sonore del pianto dettato dalla fame o da sonno, ma anche di quello causato dal dolore del reflusso gastroesofageo. In pratica è stato trovato il modo di riconoscere o almeno sospettare fortemente questa condizione patologica ascoltando, analizzando il pianto del bambino.

“In base alle caratteristiche acustiche del pianto ne abbiamo individuato tre fenotipi: uno legato alla fame, uno al sonno e uno correlato al reflusso gastroesofageo”, dice la coordinatrice dello studio, Silvia Salvatore, professore associato di Pediatria dell’Università dell’Insubria e responsabile della Gastroenterologia pediatrica all’Ospedale Del Ponte di Varese.

“In quest’ultimo caso, che mi sembra l’acquisizione più importante, abbiamo analizzato i pianti valutando contemporaneamente la presenza e il tipo di liquido nell’esofago mediante una pH impedenziometria – esame che con un sondino collegato a un particolare ‘registratore’ ci permette di diagnosticare il reflusso gastroesofageo patologico – e la sua associazione con i sintomi”, aggiunge Salvatore.

E ancora: “Abbiamo riscontrato che nel 70% dei casi al reflusso corrispondevano determinate frequenze e intensità acustiche. Ovviamente sono dati preliminari, da approfondire, abbiamo analizzato solo 49 registrazioni audio; ma abbiamo dimostrato che una analisi acustica avanzata del pianto dei neonati potrebbe aiutarci a identificare questa patologia. E in futuro credo che potremo fare molti progressi in questo campo d’indagine”.

Lo studio che ha comportato un serio impegno tecnologico, oltre che un’interessante muldisciplinarietà: con i ricercatori medici hanno collaborato una musicista e musicoterapeuta esperta in acustica del Conservatorio di Alessandria che lavora da anni nella TIN di Varese, diretta dal professor Agosti. E per quanto riguarda le tecnologie sono stati utilizzati software avanzati, capaci di generare spettrogrammi in decibel e Hertz e trasformare il pianto in spartito musicale digitale. Apparecchiature solitamente usate non in medicina, ma per la postproduzione audio.

Malgrado sia uno studio preliminare i ricercatori hanno deciso di mettere a disposizione del pubblico le prime acquisizioni. Nei prossimi giorni sarà infatti messo online sul sito SIGENP un video tutoriali che spiega ai genitori come identificare il “pianto da reflusso” con esempi pratici.

Ma le correlazioni tra suoni, musica e pediatria non si fermano qui. Altro studio di grande interesse, sempre coordinato dalla professor Salvatore e presentato al Congresso SIGENP, è quello sugli effetti della musicoterapia sui neonati pretermine (partoriti prima della 37esima settimana di gestazione e di peso inferiore a 1.500 gr). In molti casi – secondo alcuni dati il 50% – questi bambini, a causa delle complicanze della nascita, delle terapie ospedaliere, della durata del ricovero e altri fattori, soffrono di stress neonatale.

Questo può esprimersi in molti modi e, tra questi, i disturbi dell’interazione intestino-cervello (DGBI), un gruppo di condizioni gastrointestinali caratterizzate da coliche, dolore addominale e alterazioni dell’alvo, senza una causa organica evidente. L’effetto di questa condizione è in ogni caso uno stato di sofferenza del bambino, con crisi prolungate e accompagnate da pianto disperato, che dura ore. Il lavoro scientifico presentato ha accertato che, con tre sedute di musicoterapia alla settimana durante il primo anno di vita, è possibile ridurre lo stress neonatale e diminuire il numero di coliche. Migliorando anche lo sviluppo.

“Abbiamo sottoposto a musicoterapia e valutato per questo studio 86 neonati, analizzando anche il livello di cortisolo, che è un noto indice dello stress, e paragonandone i dosaggi con quelli di un gruppo di controllo – spiega la professoressa Salvatore –. Con risultati davvero incoraggianti. Nel gruppo con la musicoterapia le coliche sono state sette volte meno frequenti. E i livelli di cortisolo misurati alla nascita e alla dimissione sono stati significativamente inferiori rispetto al gruppo che non aveva effettuato la musicoterapia. Inoltre abbiamoi notato anche un miglioramento dei parametri di neurosviluppo nell’anno di vita”.

Questo studio assume un valore particolare, se si pensa che il pianto legato allo stress neonatale sfocia in casi non rari in vere tragedie: il famigerato baby shaking. In 14-40 casi su 100mila ci sono genitori che per lo stress e la mancanza di sonno perdono letteralmente la testa e scuotono violentemente il bambino per farlo smettere di piangere, provocando lesioni gravi o peggio.

“Sono ricerche veramente di frontiera – dice il professor Claudio Romano, presidente SIGENP –, perché affiancano alla medicina discipline del tutto diverse come la fisica, la musicologia per arrivare a interessanti risultati diagnostici e terapeutici per vie assolutamente originali. La prospettiva di poter utilizzare l’analisi del pianto per scoprire malesseri o patologie e vere e proprie può portarci molto lontano, con ulteriori studi. E lo stesso si può dire delle tecniche non farmacologiche per superare lo stress neonatale e le sue drammatiche conseguenze”.

Redazione Nurse Times

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