Gli infermieri rientrano tra le categorie più esposte a condizioni di logorio professionale come la sindrome del burn-out poiché si tratta di una professione d’aiuto in cui il carico emotivo dell’attività professionale è molto rilevante. Ecco un curioso modo per misurare la propria situazione.
Il burn-out può essere definito un processo inefficace di adattamento a uno stress individuale eccessivo, una condizione di disadattamento in cui un professionista, precedentemente impegnato, si disimpegna dal proprio lavoro in risposta allo stress e alla tensione sperimentati sul lavoro.
Questo può anche essere causa di:
• errore professionale, infortunio lavorativo;
• difficoltà nel rapporto con il paziente, con minore empatia e sensibilità;
• tensione, ansia e depressione dell’operatore.
Il test è tratto dal libro “L’operatore cortocircuitato” a cura di G. Contessa, per misurare il livello di burnout dei professionisti del sociale. Dopo aver segnato le frasi nelle quali ci si rispecchia, è possibile “misurare” la propria febbre da burnout, ovvero lo stress eccessivo che colpisce soprattutto chi opera nelle professioni d’aiuto.
– La mattina andare al lavoro è un grosso sforzo
– Il lavoro che faccio, in fondo, è del tutto inutile
– Quando penso al lavoro sento rabbia e risentimento
– Il lavoro mi serve solo per sopravvivere economicamente
– Non riesco a trovare niente di positivo nel lavoro che faccio
– La mia vita vera è al di fuori del lavoro; lì mi basta riuscire a farmi i fatti miei
– Durante la giornata di lavoro mi sento stanchissima/o
– Ogni giorno non vedo l’ora che arrivi il momento di andare a casa
– Dopo una giornata di lavoro mi sento distrutto/a
– In verità coloro con cui ho rapporti sul lavoro non mi piacciono molto
– Appena posso cerco di evitare i contatti con gli utenti
– Penso che i miei utenti non siano tanto “belli”
– Faccio molta fatica ad “ascoltare” veramente ciò che vogliono dire gli utenti
– Mi sembra di essere sempre allo stesso punto, di non fare progressi
– In fondo, se i miei utenti non traggono vantaggi dal mio aiuto, è colpa loro
– Ciò che contano, alla fine, sono soprattutto le formalità (procedure, regolamenti, schede…)
– Mi addormento con difficoltà e dormo poco e male
– Coi colleghi cerco di evitare ogni discussione
– Sul lavoro la cosa che mi importa di più è star bene, stare in pace, farmi i fatti miei
– Penso che ci vorrebbero più misure di controllo sul comportamento dei miei utenti
– Soffro spesso di influenze, allergie, mal di testa, disturbi intestinali
– Faccio fatica a cambiare opinione e non sopporto l’idea di dover cambiare qualcosa nel mio lavoro
– Sono molti, sul lavoro, quelli che ce l’hanno con me o non mi stimano
– Prendo pillole di ogni genere
– Appena posso mi assento dal lavoro adducendo motivi familiari, di salute o altro
– In famiglia sono irritabile e litigioso; oppure ho problemi col partner
– Che cosa sto facendo? Chi me lo fa fare?
– Sto sacrificando troppo il mio privato
– In fondo, per le tre lire che mi danno…
– Certi miei utenti, certi colleghi, certi dirigenti guadagnano come o più di me senza sbattersi tanto!
– Quale carriera mi aspetta? Posso andare avanti in questo posto per vent’anni?
– Forse mi conviene guardarmi in giro o riprendere a studiare: non si sa mai…
– Non riesco a essere utile ai miei utenti
– Nel mio territorio è impossibile fare un buon lavoro
– L’Istituzione non offre alcun valido appoggio, anzi
– Tutta l’organizzazione in cui lavoro non risponde alle reali esigenze degli utenti
– Superiori, dirigenti e politici non hanno alcun apprezzamento per il mio lavoro
– Gli utenti non hanno quasi alcun apprezzamento per ciò che faccio
– Schede, relazioni, rapporti scritti mi soffocano
– Sono impreparato per il lavoro che faccio, e si vede
– A causa del mio sesso ho più problemi degli altri nel mio lavoro
– Non so mai cosa devo fare io e cosa devono fare gli altri (colleghi, dirigenti, consulenti…)
– Nel territorio il mio prestigio è quasi zero
– I rapporti coi colleghi sono inesistenti o negativi
– Verso il lavoro provo spesso noia o nausea
– L’importante è evitare i problemi, sul lavoro
– I casi difficili, le riunioni, gli straordinari se li facciano gli altri
– Meno impegno possibile, sia mentale che temporale
– Ora mi defilo, mi do per occupatissimo
– Devo cercare di farmi fare un incarico di tutto riposo
– Quanto mi manca per la pensione minima?
Ora contate in quante frasi vi riconoscete, dividete il numero per 4 e aggiungete 36.
Il risultato di questa operazione è la vostra febbre da burnout.
Fino a 37: siete sani.
Tra 37 e 38: consideratevi a rischio burnout.
Tra 38 e 39: al primo stadio.
Tra 39 e 40: la fase è acuta.
Sopra il 40: la situazione è complessa e delicata.
Contenere l’insorgere o le conseguenze del burn-out è una cosa complicata, ma non impossibile. L’informazione e la formazione sono al primo posto, in quanto bisogna conoscere il problema per poterlo affrontare, mentre, con esperienze di gruppo o discussione è possibile creare strumenti per far fronte al fenomeno. Gli interventi specifici sono la componente più difficile da attuare, attraverso programmi anti-stress e soprattutto l’equilibrio del carico lavorativo con una corretta pianificazione del lavoro. Non è tanto l’individuo a dover cambiare quanto l’organizzazione, specialmente nell’attuale scenario socio -economico.
Sabina Piazzolla
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