L’articolo pubblicato dal giornale “Repubblica” ha spinto l’Università di Palermo a correre ai ripari. Il quotidiano nazionale aveva difatti denunciato la vendita massiva di dispositivi elettronici pressoché “invisibili” che avrebbero permesso a migliaia di candidati di poter superare i test di ammissione alla facoltà di Medicina e Chirurgia ottenendo le risposte da un complice esterno con il quale poter comunicare direttamente tramite auricolare.
Nel solo capoluogo siciliano ne sarebbero stati venduti più di mille in pochi giorni, grazie al passaparola tra gli aspiranti camici bianchi.
Ma la risposta da parte dell’ateneo non si è fatta certo attendere.
Il rettore Fabrizio Micari ha spiegato come non ci siano stati i tempi tecnici per chiedere l’autorizzazione alla Prefettura per la schermatura degli ambienti o per organizzare la presenza di addetti dotati di metal detector.
Per arginare il fenomeno dei furbetti dell’auricolare è stata però incrementata la sorveglianza, che vedrà l’impiego di oltre 200 uomini e donne a tutela della regolarità delle prove. Chi dovesse venire scoperto a copiare o ad utilizzare dispositivi elettronici non si vedrà solo ritirare ed annullare la prova, ma verrà denunciato alle autorità giudiziarie.
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