Secondo la perizia, la malattia di Valeria Fioravanti non è stata riconosciuta e non sono stati svolti per tempo gli esami specifici necessari.
Le avevano detto che si trattava semplicemente di mal di testa e mal di schiena. Ma a provocare la morte di Valeria Fioravanti lo scorso 10 gennaio è stata una meningite. Per questo tre sanitari rischiano un processo con l’accusa di omicidio colposo.
Il calvario di Valeria Fioravanti inizia il giorno di Natale. Il 25 dicembre si reca nel primo dei quattro ospedali in cui ha cercato aiuto: il Policlinico Campus Biomedico, dove mostra un foruncolo infiammato sotto l’ascella destra. Dopo la rimozione da parte di un chirurgo, viene mandata a casa con due punti.
Quattro giorni dopo non si sente bene. Viene ricoverata al Policlinico Casalino e i medici le diagnosticano una cefalea, che sarebbe stata provocata da un movimento brusco mentre si lavava i capelli. Le prescrivono un antinfiammatorio, il toradol.
Nel frattempo le sue condizioni si aggravano e il 4 gennaio decide di farsi visitare in un altro ospedale, il San Giovanni Addolorata. Qui avviene il secondo errore: le viene diagnosticata una lombosciatalgia. Valeria decide di ritornare al San Giovanni due giorni dopo. Il medico che la visita dispone una Tac celebrale: meningite acuta in fase conclamata. Viene ricoverata in Terapia intensiva allo Spallanzani. Il 7 gennaio è in coma, subisce un’operazione e, tre giorni dopo, muore.
Secondo la perizia richiesta dalla pubblica ministera Eleonora Fin, la malattia di Valeria Fioravanti non è stata riconosciuta e non sono stati svolti per tempo gli esami specifici necessari. L’antinfiammatorio che le è stato prescritto ha avuto un ruolo fondamentale. Mentre la meningite peggiorava, il toradol ne ha infatti annullato il dolore.
Redazione Nurse Times
Fonte: SkyTg24
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