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Medicina di base: le proposte delle Regioni per migliorare l’attule sistema

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Emilia Romagna, la nuova figura del direttore assistenziale non piace ai sindacati medici
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La Commissione Salute ha elaborato una “Prima analisi delle criticità e possibili modifiche nelle relazioni Ssn/mmg, in particolare nella prospettiva della riforma dell’assistenza territoriale determinata da Pnrr”.

La Commissione Salute delle Regioni ha elaborato un documento (vedi allegato) attraverso il quale si propone di rivoluzionare la medicina di base, la cui organizzazione del lavoro, così com’è, sta “diventando un ostacolo al percorso di sviluppo e strutturazione”. Sopratrtutto in questa fase pandemica, la quale ha evidenziato “che il profilo giuridico del medico di medicina generale e dei pediatri di libera scelta come liberi professionisti, e i loro ACN, non sono idonei ad affrontare il cambiamento in atto, anche pensando – in una fase post-pandemica – alla gestione delle multi-cronicità, aumento delle fragilità, programmazione dell’assistenza domiciliare, ecc..”. Inoltre “gli accordi nazionali sottoscritti a sostegno delle azioni delle regioni per fronteggiare la pandemia (intesa sull’effettuazione dei tamponi, delle vaccinazioni, ed in alcune regioni utilizzo dei test rapidi) hanno prodotto scarsi risultati”.

Quattro le proposte presentate dalle Regioni, che a breve inizieranno un’interlocuzione col ministero della Salute:
– Dipendenza
– Forma di accreditamento da realizzare con modifica sostanziale di ACN
– Forma di accreditamento e accordi (tipo privato-accreditato)
– Doppio canale (dipendenza e accreditamento), da realizzare con modifica sostanziale di ACN.

Analizziamole nel dettaglio.

Dipendenza – Tale proposta prevede una collocazione organica in un modello organizzativo, omogeneo su tutto il territorio nazionale, con garanzia di inserimento dei medici di medicina generale nelle strutture come ora definite anche dal Pnrr: case di comunità, ospedali di comunità, centrali operative territoriali.

“Questa ipotesi – spiegano le Regioni – potrebbe andare incontro alla copertura delle sedi dislocate in aree ad oggi non gradite dai mmg, anche se tali aree poi risulterebbero comunque difficili da coprire in assenza di una programmazione nazionale sull’accesso ai corsi di formazione specialistici adeguati, come già avviene per le aree disagiate di altre attività mediche, in una situazione di scarsa offerta di risorse umane. Programmazione delle attività coerente con gli obbiettivi regionali e Aziendali. Applicazione di sistemi di valutazione consolidati e maggior governo dei professionisti”.

Ma questa soluzione presenta anche delle criticità. “In questo caso – prosegue il documento – è necessario un atto normativo nazionale che renda compatibile l’incremento della dotazione organica con i tetti di spesa del personale e permetta l’inquadramento dei MMG nella dipendenza anche se non possiedono un titolo di specializzazione. Per allargare la platea dei dipendenti in assistenza primaria sarebbe inoltre opportuno un decreto che specifichi le equipollenze fra alcune specialità e l’attestato del CFSMG”.

Altra criticità: “Questa ipotesi richiederebbe un iniziale importante investimento in quelle regioni che non hanno già investito nella rete delle strutture territoriali, prevedendo di fornire ambienti, strumentazioni e personale di supporto alla medicina generale. Andrebbe fatta una valutazione relativa al costo del lavoro e alla necessità di aumentare significativamente gli organici se si applicassero le regole della dipendenza rispetto ad orari di lavoro, tutela di malattia e infortunio, ferie. Tale aumento di organico risulta difficilmente programmabile nell’attuale situazione di carenza di professionisti”.

Ulteriore, importante criticità “è quella previdenziale dove nel tempo andrebbe considerata la ricaduta su Enpam del passaggio di quota parte dei medici di assistenza primaria, sempre più rilevante numericamente, alla contribuzione Inps, anche valutando la possibilità che per il ruolo specifico venga mantenuta la contribuzione Enpam”.

Forma di Accreditamento da realizzare con modifica sostanziale di ACN – Questa ipotesi sarebbe perseguibile tramite la definizione di un accordo collettivo nazionale con regole più chiare e stringenti per l’accesso alla convenzione con i Servizi sanitari regionali. In un ACN più snello “andrebbero definiti i criteri strutturali, organizzativi, di volumi di attività e di qualità delle prestazioni, necessari per l’accesso al convenzionamento con il Ssr”. Andrebbero poi definite “le modalità di verifica programmata per il raggiungimento degli obbiettivi assegnati”. E la revisione dell’ACN “sarebbe sostanziale e dovrebbe eliminare tutti quegli spazi di ambiguità descritti sopra”.

“L’ACN – si spiega – dovrà prevedere l’obbligo dell’adesione ad una forma organizzata per l’erogazione dell’assistenza primaria, con presenza di personale amministrativo, infermieristico e specialisti di riferimento.  Tali organizzazioni (alle quali viene affidata l’erogazione dell’assistenza primaria in un dato territorio e su un determinata quota di popolazione) andranno definite all’interno della programmazione regionale/aziendale che terrà conto delle specificità dei vari territori. Un’ipotesi di massimale mmg/popolazione assistita potrà essere 1:2.000, con l’inserimento di un medico ogni 1.500 abitanti, per garantire un’effettiva libertà di scelta da parte dei cittadini e il conseguente rapporto fiduciario”.

Tra i requisiti da prevedere per le forme organizzate, nel loro insieme e non per il singolo medico, rispetto a una popolazione di assistiti di riferimento: la garanzia di coperture orarie certe; la previsione di indicatori di garanzia di presa in carico per le patologie croniche, per assistenza domiciliare e di capacità di risposta in caso di emergenze epidemiche, configurandosi così un rapporto più simile a un rapporto di “accreditamento” del professionista che di “convenzionamento”.

Per realizzare questo modello è necessario che ciascun medico di famiglia, nello stesso contesto lavorativo, si doti almeno di un infermiere e di una unità di personale amministrativo. Per quanto riguarda lo studio del medico così organizzato, potrà anche essere allocato all’interno delle case della comunità oppure esternamente ad esse, ma funzionalmente collegato con le stesse e con il Distretto.

I medici, per garantire le caratteristiche di “accreditamento” sopra richiamate, potranno utilizzare società di servizi (anche sulla base dell’esperienza delle cooperative di servizi di medici già operanti ad esempio in Lombardia ma non solo), che dovranno a loro volta fornire, al medico e all’Asl, specifici standard di garanzia sotto il profilo dell’organizzazione del servizio e dei supporti forniti. Tali standard andranno definiti in modo cogente a livello nazionale per evitare opportunismi.

Sarebbe poi opportuna una ridefinizione della continuità assistenziale (ex guardia medica). Per le Regioni “sarebbe più appropriato individuare modelli organizzativi che prevedano un presidio della continuità dell’assistenza, da parte delle forme organizzative sopra descritte di mmg, dalle 8 alle 24, lasciando a una integrazione 116117 con il servizio del 118 nelle ore notturne, dalle 24 alle 8 del mattino. Va prevista la possibilità, da parte delle regioni, di sviluppare modelli organizzativi/servizi di supporto all’attività dei mmg dalle 20 alle 24”.

Forma di Accreditamento e Accordi – Questo modello è basato sui principi di accreditamento e committenza e potrebbe “rappresentare una strada in grado di garantire la rispondenza alle necessità dell’organizzazione dell’assistenza territoriale, prevedendo sistemi più flessibili in grado di stimolare la tendenza ad elevare la qualità del servizio oltre alla spinta verso forme organizzative più adeguate alle singole realtà”. Ma anche qui non mancano le difficoltà: al Ssn sarebbe richiesto uno “sforzo in termini di definizione dei requisiti e di maturazione delle competenze di sistema per la gestione delle relazioni contrattuali, oltre che di un sistema di regole in grado di dare continuità al sistema, potrebbe evitare diverse problematiche”.

L’ipotesi, da sostenere con atto normativo di rango nazionale, dovrebbe prevedere:
– Erogazione della medicina generale e della pediatria di libera scelta esclusivamente in forma associata
– Costituzione di soggetti giuridici accreditabili, che ricomprendono un determinato numero mmg/pls e altri professionisti sanitari, e che, fatti salvi i casi in cui sede e strumenti vengano messi a disposizione nell’ambito delle case di comunità, forniscono anche gli strumenti e gli spazi per l’erogazione di prestazioni sanitarie.
– Programmazione regionale per l’affidamento di aree distrettuali da affidare ai soggetti di cui al punto precedente, utilizzando lo strumento degli accordi di fornitura che definiscono gli aspetti di servizio e di remunerazione a partire da riferimenti individuati a livello nazionale.

Doppio canale: dipendenza e accreditamento da realizzare con modifica sostanziale di ACN – Anche in questo caso andrebbero attuate le modifiche normative atte a permettere l’assunzione a tempo indeterminato dei medici con il solo attestato CFSMG (oggi solo i medici specializzati possono essere assunti) e a impiegare come medici di assistenza primaria medici specializzati (definizione delle equipollenze), ma la previsione di un doppio canale per le Regioni “permetterebbe di gestire nel tempo il percorso senza dover affrontare tutto il sistema nel suo complesso”.

Trattandosi di un doppio canale, dovrebbe accompagnarsi a una revisione dell’ACN che fissi un sistema di ACN/“accreditamento” che faccia sì che i medici che mantengono lo status convenzionale si attengano agli standard definiti a livello nazionale e regionale. “Si tratterebbe – spiegano le Regioni – di una soluzione che permetterebbe ai più “vocati” di lavorare come dipendenti all’interno del Ssr, in strutture regionali (case della comunità o luoghi individuati in aree a bassa intensità abitativa) e applicando percorsi e strumenti definiti a livello regionale”.

Oltre alle quattro proposte, nel documento delle Regioni si parla anche di formazione e infermieri di famiglia.

Formazione – Tra le proposte vi è quella di valutare il passaggio del CFSMG all’Università (con comunque governo da parte delle regioni e coinvolgimento nella didattica di dirigenti del Ssr e professionisti della nedicina generale). Si richiede poi la definizione di equipollenze rispetto alle specializzazioni compatibili con la normativa europea.

Infermiere di famiglia – Tale figura “è oramai una realtà condivisa dai sistemi sanitari regionali e ne sono state definite le competenze ma va valutata attentamente la relazione con i mmg/pls, anche a seconda dei modelli regionali più o meno internalizzati”. A prescindere dai diversi ruoli che l’infermiere potrà assumere all’interno dell’organizzazione distrettuale, è essenziale la presenza fisica nello stesso luogo di lavoro di mmg e infermiere.

Redazione Nurse Times

ALLEGATO: Il documento elaborato dalle Regioni

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