Secondo uno studio pubblicato su Nature, il fallimento delle cellule T effettrici può essere la causa del disturbo.
A Mark Sundrud, scienziato dello Scripps Research Institute di La Jolla (California), va il merito di un’interssante scoperta riguardante la malattia di Crohn, disturbo infiammatorio che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Scoperta frutto di uno studio che ha fornito interessanti risposte grazie agli esperimenti eseguiti sui topi.
La malattia di Crohn molto spesso riguarda l’intestino tenue, dove esiste, come ha rivelato Sundrud nello studio pubblicato su Nature, un sistema fatto da cellule immunitarie, denominate cellule T effettrici, che possono innescare un meccanismo di rilevamento molecolare per creare una barriera protettiva contro concentrazioni troppo alte di acidi biliari dell’intestino tenue, una cosa che potrebbe avere effetti tossici. Gli acidi biliari, infatti, prodotti dal fegato come aiuto nel corso della digestione e dell’assorbimento dei grassi, nonché delle vitamine liposolubili, vanno poi a finire nell’ileo, una regione dello stesso intestino tenue, per poi tornare al fegato attraverso il flusso sanguigno.
Gli acidi biliari possono causare infiammazione alle cellule e ora gli scienziati hanno scoperto come le cellule immunitarie dell’intestino tenue riescano a tollerare la loro presenza. Questo meccanismo può essere inoltre manipolato con piccole molecole che fungerebbero da farmaci. Negli esperimenti effettuati sui roditori, infatti, tali molecole andavano a ridurre l’infiammazione proprio nell’intestino tenue. Come spiega Sundrud, le cellule T effettrici, per proteggersi degli acidi biliari, fanno uso di una compressa rete di geni, un sistema che, nei pazienti affetti da malattia di Crohn, potrebbe non funzionare in maniera corretta.
“La scoperta fondamentale che le cellule T dedicano così tanto del loro tempo e della loro energia alla prevenzione dello stress e dell’infiammazione causati dagli acidi biliari evidenzia concetti completamente nuovi nel modo in cui pensiamo e trattiamo la malattia di Crohn – scrive lo scienziato -. È come se stessimo scavando nel punto sbagliato per trovare un tesoro, e questo lavoro ci fornisce una nuova mappa che mostra dove X segna il punto”.
Redazione Nurse Times
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