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Malattia cardiovascolare aterosclerotica: evolocumab+statina riducono futura rivascolarizzazione

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Malattia cardiovascolare aterosclerotica: evolocumab+statina riducono futura rivascolarizzazione
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Questa la conclusion a cui conducono i risultati di un’analisi dello studio FOURIER.

Secondo i risultati di un’analisi dello studio FOURIER, pubblicati sul Journal of the American College of Cardiology (JACC), evolocumab, un inibitore PCSK9, in aggiunta alla terapia con statina per malattia cardiovascolare aterosclerotica (ASCVD) stabile può ridurre il rischio di futura rivascolarizzazione mediante intervento coronarico percutaneo (PCI) o by-pass aorto-coronarico (CABG).

Come precedentemente riferito nei principali risultati dello studio FOURIER, l’LDL abbassato a una mediana di 30 mg/dL con evolocumab nell’ASCVD è stato associato a un rischio inferiore per eventi CV. Il FOURIER è stato uno studio randomizzato condotto con evolocumab rispetto al placebo in 27.564 pazienti con ASCVD stabile in terapia con statina.

“Questa analisi dello studio FOURIER mostra che l’aggiunta di evolocumab alla terapia con statina in pazienti con ASCVD consolidato riduce il rischio di sviluppare complesse malattie coronariche che richiedono rivascolarizzazione, tra cui PCI e CABG complessi a livello individuale”, scrivono gli autori, guidati da Kazuma Oyama, ricercatore clinico nella divisione di medicina cardiovascolare presso il Brigham and Women’s Hospital di Boston. «I benefici dell’evolocumab tendevano ad aumentare nel tempo ed erano coerenti tra i sottogruppi chiave, includendo la concentrazione di colesterolo-LDL (LDL-C) e l’uso di statine ad alta intensità al basale» aggiungono.

Per questa analisi, i ricercatori hanno studiato la capacità di evolocumab di ridurre il rischio di aterosclerosi coronarica complessa che richiede la rivascolarizzazione. La rivascolarizzazione complessa era un composto di PCI complesso, definito come PCI multivasale, almeno tre stent, almeno tre lesioni trattate, PCI della biforcazione e/o lunghezza totale dello stent superiore a 60 mm, o CABG.

Diminuzione del rischio con l’inibitore PCSK9 – Complessivamente, 1.724 pazienti sono stati sottoposti a rivascolarizzazione coronarica, di cui il 37% è stato considerato con quadro complesso. Di questi, il 17% è stato sottoposto solo a CABG. Il 19% è stato sottoposto solo a PCI e circa il 64% ha subito entrambi gli interventi.

I ricercatori hanno osservato che tra i pazienti con ASCVD stabile, evolocumab ha ridotto il rischio di:

  • qualsiasi rivascolarizzazione coronarica del 22% (HR 0,78; IC al 95% 0,71-0,86; P < 0,001);
  • PCI semplice del 22% (HR 0,78; IC al 95% 0,7-0,88; P < 0,001);
  • PCI complesso del 33% (HR 0,67; IC al 95% 0,54-0,84; P < 0,001);
  • CABG del 24% (HR 0,76; IC al 95% 0,6-0,96; P = 0,019);
  • rivascolarizzazione complessa del 29% (HR 0,71; IC al 95% 0,61-0,84; P < 0,001).

Inoltre l’entità della riduzione del rischio per la rivascolarizzazione complessa è aumentata nel tempo, dal 20% del primo anno (HR 0,8; IC al 95% 0,64-0,99) al 36% nel secondo anno (HR 0,64; IC al 95% 0,49-0,84) e 41% oltre il secondo anno (HR 0,59; IC al 95% 0,37-0,96).

“I risultati attuali confermano la comprensione dell’impatto clinico dell’inibizione del PCSK9 – osservano i ricercatori -. Le maggiori riduzioni qui osservate con evolocumab sono state per le procedure di rivascolarizzazione più complesse, indicando quello che sembra essere uno spostamento con evolocumab da procedure di rivascolarizzazione più complesse verso PCI semplici o nessuna rivascolarizzazione”.

Secondo lo studio, l’associazione tra evolocumab e ridotto rischio di rivascolarizzazione coronarica e rivascolarizzazione complessa era coerente tra i sottogruppi, compresi quelli basati sull’età (P = 0,47), sul sesso (P = 0,73), sull’etnia (P = 0,69), sul diabete (P = 0,26), sulla rivascolarizzazione coronarica precedente (P = 0,44), sulla velocità di filtrazione glomerulare stimata (P = 0,23), sull’LDL basale (P = 0,6) e sull’intensità della statina al basale (P = 0,48).

“Mentre gli studi FOURIER e ODYSSEY OUTCOMES hanno dimostrato gli importanti effetti degli inibitori PCSK9 sugli eventi di rivascolarizzazione sull’infarto del miocardio e sulla rivascolarizzazione in generale, finora non è stato esaminato la complessità anatomica coronarica o il carico di aterosclerosi al momento della rivascolarizzazione in questi pazienti”, evidenziano i ricercatori”.

E aggiungono: “Abbiamo osservato che in questa coorte di pazienti con aterosclerosi accertata c’era un grado piuttosto elevato di complessità coronarica al momento della rivascolarizzazione, con presenza di malattia principale sinistra nel 12%, malattia dell’arteria discendente anteriore sinistra (LAD) prossimale nel 36%, almeno un’occlusione totale cronica nel 36% e restenosi dello stent nel 27%. Ci sono limiti importanti, ovviamente, tra cui il fatto di avere dati anatomici disponibili solo per i pazienti che sono stati sottoposti a rivascolarizzazione e che si affidano alla documentazione clinica piuttosto che alla valutazione angiografica di laboratorio di base. Sarebbe utile andare avanti per capire ulteriormente quali pazienti sono più a rischio per questo tipo di eventi di rivascolarizzazione e chi trae il massimo beneficio clinico dall’intervento medico”.

Approccio “sooner is better” – “Una conclusione intrigante di questa analisi è stata che il grado di riduzione del rischio per la rivascolarizzazione complessa associata al trattamento con l’inibitore PCSK9 è aumentato man mano che il follow-up progrediva – hanno scritto E. Magnus Ohman  e Michael G. Nanna, cardiologi interventisti del Duke Clinical Research Institute di Durham, in un editoriale correlato -. In oltre due anni di follow-up la riduzione del rischio associata all’uso dell’inibitore PCSK9 ha raggiunto un impressionante calo del 41% nella rivascolarizzazione complessa. Questo, accoppiato con il tasso di complicazione PCI numericamente inferiore tra quelli assegnati a evolocumab,  suggerisce che un approccio “sooner is better” può essere ottimale per l’avvio degli inibitori PCSK9, anche potenzialmente prima del PCI. Potremmo aver finalmente sposato una gestione aggressiva dell’abbassamento dei lipidi con la rivascolarizzazione, dove LDL-C < 70 mg/dL dovrebbe essere considerato la “norma” il prima possibile dopo l’inizio della sindrome coronarica acuta”.

Redazione Nurse Times

Fonte: PharmaStar

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