Per la prima volta la tecnologia gene-drive si dimostra efficace in ambienti controllati che riproducono fedelmente le condizioni ambientali dei luoghi tropicali.
Un team internazionale di ricercatori guidato da Andrea Crisanti (foto), direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova, ha dimostrato come in pochi mesi e in ambienti controllati che riproducono fedelmente le condizioni ambientali dei luoghi tropicali, sia possibile sopprimere le zanzare che trasmettono la malaria. E’ la prima volta che la tecnologia gene-drive si dimostra efficace in condizioni ecologiche realistiche e su un lungo periodo di tempo.
Lo studio “Gene-drive suppression of mosquito populations in large cages as a bridge between lab and field”, pubblicato su Nature Communications, ha dimostrato come le zanzare geneticamente modificate possano completamente eliminare popolazioni di zanzare vettori di malaria per l’uomo. Nel 2019 ci sono stati 229 milioni di casi di malaria – in aumento rispetto all’anno precedente – e 409mila decessi, a dimostrazione di come siano necessari nuovi interventi per passare all’eradicazione della malaria.
I ricercatori hanno preso di mira selettivamente la specie di zanzare Anopheles gambiae, che è responsabile della maggior parte della trasmissione della malaria nell’Africa Sub-Sahariana. Ci sono circa 3.500 specie di zanzare in tutto il mondo, di cui solo 40 specie correlate possono portare la malaria. Il team di ricercatori inglesi (Imperial College) e italiani (Polo GGB, Terni) coordinato da Crisanti ha utilizzato come bersaglio il gene in Anopheles gambiae chiamato “doublesex”, che determina se una singola zanzara si sviluppa come maschio o come femmina, alterando selettivamente una regione del gene “doublesex” responsabile dello sviluppo femminile. Il gene drive mentre si propaga a tutta la popolazione distrugge il gene “doublesex” impedendo alle zanzare di sesso femminile di completare lo sviluppo generando un progressivo sbilanciamento del rapporto maschi/femmine fertili fino al collasso della popolazione.
«I risultati dello studio – spiega Crisanti – fanno prevedere che, rilasciando zanzare gene drive che selettivamente inattivano il gene ‘doublesex’, e quindi diffondendo l’infertilità femminile all’interno delle popolazioni di zanzare che trasportano la malaria locale, si possa arrivare al collasso dalla specie portatrice della malaria. Abbiamo inoltre osservato che sia i maschi sia le femmine eterozigoti che portano una sola copia del gene ‘doublesex’ modificato non mostrano cambiamenti. Tuttavia le femmine con due copie del gene modificato mostrano caratteristiche sia maschili che femminili, non riescono quindi più a pungere e non depongono le uova».
In precedenza i ricercatori avevano dimostrato che la loro tecnologia di gene-drive poteva eliminare le popolazioni di Anopheles gambiae in piccole gabbie nel giro di 7-11 generazioni, inibendone la riproduzione. Tuttavia, per verificare se la modificazione genica avrebbe causato lo stesso collasso in condizioni reali, il team è passato a testare la tecnologia in gabbie molto più grandi che imitano l’habitat naturale della zanzara.
Queste gabbie contenevano centinaia di zanzare di diverse età, che rappresentavano una struttura di popolazione più naturale e complessa. Le gabbie erano anche a temperatura, umidità e controllate dalla luce e contenevano una gamma di siti di alimentazione, riposo e deposizione delle uova, per consentire alle zanzare di mostrare comportamenti naturali di foraggiamento e accoppiamento, come lo sciame. Inoltre il team non ha rilevato alcuna resistenza naturale al gene drive, ovvero non sono sorte nuove modifiche per contrastarne l’effetto. Il che suggerisce che la modifica genetica che guida l’infertilità femminile è efficace anche di fronte ai meccanismi di selezione naturale.
«Gli studi in queste condizioni ecologiche – conclude Crisanti – sono un passo importante verso il rilascio di zanzare che trasportano la trasmissione genica in natura, anche se dobbiamo tener presente che ci sono barriere di sicurezza e tecnologia da superare prima che sia possibile pianificare una sperimentazione sul campo, tra cui test di resistenza più completi e valutazioni del rischio ambientale».
Redazione Nurse Times
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