La storia che andrete a leggere potrà sembrarvi fantascientifica pur trattandosi di un caso clinico reale
Un uomo francese di 44 anni per tutta la sua esistenza ha vissuto inconsapevole di aver perso il 90% delle proprie cellule celebrali.
Si presentò in pronto soccorso lamentando una debolezza ad una gamba. Quando fu sottoposto ad esami neurologici mirati la scoperta dei medici fu incredibile. Il suo cranio risultava invaso da liquido cerebrospinale e la parte più interna del suo cervello appariva quasi completamente erosa. Era presente solo una piccola porzione di tessuto cerebrale a delimitare il tutto.
Il caso divenne subito molto noto in tutto il mondo e venne descritto approfonditamente da Axel Cleeremans, psicologo cognitivo della Université Libre di Bruxelles, davanti all’Associazione di studi scientifici sulla coscienza, a Buenos Aires.
Il caso pone non pochi interrogativi in merito a ciò che si intende per concetto di coscienza, intesa come presenza a se e consapevolezza della propria esistenza.
L’uomo in questione infatti conduceva una vita del tutto normale, lavorando come impiegato statale, sposato e padre di due figli. Il suo quoziente intellettivo è risultato inferiore alla media (QI 75) ma nulla che potesse far pensare ad una disabilità mentale.
Secondo i medici, la condizione del paziente si era sviluppata progressivamente negli ultimi 30 anni a causa di una patologia nota come idrocefalo, condizione in cui si ha un accumulo di liquido cefalorachidiano a livello dei ventricoli cerebrali che di conseguenza si dilatano.
La spiegazione più plausibile per giustificare quanto emerso potrebbe essere da ricerca nell’infanzia dell’uomo.
Da bambino infatti era stato trattato con uno stent successivamente rimosso durante l’adolescenza lasciando il liquido libero di erodere i tessuti cerebrali.
Ma come ha potuto quest’uomo vivere per tutta la vita “normalmente” senza gran parte del tessuto cerebrale?
Ogni teoria che cerca di legare il concetto di coscienza a strutture anatomiche del cervello viene messe a dura prova.
Il parere degli specialisti è il seguente: il cervello del paziente si sarebbe progressivamente riadattato negli anni a funzionare anche se i lobi frontali, parietali, temporali e occipitali del cervello che presiedono alle principali funzioni cognitive e percettive si sono ridotti al minimo.
Secondo Cleeremans, la soluzione per comprendere come funzioni la coscienza è da ricercarsi nella plasticità cerebrale. Lo studioso ha elaborato la teoria della contezza di se, ovvero la cognizione particolareggiata di sé, che si guadagnerebbe con con l’esperienza, si arricchirebbe con l’apprendimento e le interazioni con se stessi e il mondo esterno.
Il cervello pertanto avrebbe la funzione di adeguarsi, andando per tentativi, ridisegnando le proprie attività utilizzando le risorse disponibili in quel preciso momento.
Pertanto, anche i pochi neuroni disponibili dell’uomo, sarebbero in grado di elaborare una teoria del se: il paziente aveva quindi una coscienza, pur essendo rimasto con soltanto il 10% di tessuto cerebrale.
Simone Gussoni
Fonti: Focus
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