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Long Covid, le donne sembrano più colpite

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Coronavirus, le donne sembrano più colpite: una sfida per la medicina di genere
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Di seguito un approfondimento a cura di Elena Ortona (Centro di riferimento di Medicina di genere, Istituto Superiore di Sanità, Roma), Danilo Buonsenso (Dipartimento della Salute della donna e del bambino e di Sanità pubblica della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Roma) e Walter Malorni (Centro per la Salute globale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma).

Alcune persone che hanno avuto una forma di malattia Covid-19 da severa a moderata o lieve possono soffrire di sintomi variabili e debilitanti per molti mesi dopo l’infezione iniziale. Questa condizione è comunemente chiamata Long Covid. Manca una definizione esatta, ma in genere i sintomi con una durata di più di 2 mesi sono considerati Long Covid. La condizione è caratterizzata da sequele a lungo termine, persistenti dopo il tipico periodo di convalescenza da Covid-19 e può comportare una serie di sintomi come stanchezza persistente, mal di testa, mancanza di respiro, anosmia, debolezza muscolare, febbre, disfunzione cognitiva (brain fog), tachicardia, disturbi intestinali e manifestazioni cutanee.

La sindrome Long Covid ha una somiglianza con le sindromi post-infettive che hanno seguito i focolai di chikungunya ed Ebola. In generale le donne sembrano avere il doppio delle probabilità di sviluppare il Long Covid, rispetto agli uomini, ma solo fino a circa 60 anni, quando il livello di rischio diventa simile. Oltre all’essere donne anche l’età avanzata e un indice di massa corporea più alto sembrano essere fattori di rischio per avere il Long Covid.

Recentemente, la persistenza di sintomatologia in seguito alla diagnosi iniziale di Covid-19 acuto è stata dimostrata anche in età pediatrica. In particolare, uno studio di un gruppo di ricerca del Dipartimento della Salute della donna e del bambino e di Sanità pubblica della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma, in una coorte di 129 bambini con diagnosi microbiologicamente confermata di Covid-19, il 27,1% dei bambini aveva almeno un sintomo a distanza di oltre 120 giorni dalla prima diagnosi, e tre o più sintomi in un 20.6% dei casi.

Le sintomatologie più frequenti erano dolori muscolari e/o articolari, cefalea, disturbi del sonno, dolore toracico o sensazione di costrizione toracica, palpitazioni e disturbi del sonno. Questi sintomi sono stati descritti anche in bambini che non hanno necessitato di ricovero al momento della malattia acuta o in alcuni con infezione iniziale da SARS-CoV-2 asintomatica. Sono al momento in atto valutazioni aggiuntive su casistiche più numerose per valutare se, anche in età pediatrica, ci sia una differenza nella persistenza della sintomatologia tra i due sessi.

Ipotesi autoimmune e Long Covid. Ma quali sono i fattori responsabili di questa sindrome? Il danno d’organo causato da un’eccessiva risposta infiammatoria attivata dal virus, ma anche una reazione autoimmune “slatentizzata” dal virus stesso, forse per mimetismo molecolare con alcuni componenti del nostro organismo, potrebbero essere responsabili dei sintomi del Long Covid.

L’ipotesi autoimmune potrebbe giustificare la più elevata incidenza di questa sindrome nel sesso femminile. Infatti la risposta immune sia per fattori genetici che ormonali è più forte nelle donne rispetto agli uomini e questo rappresenta un’arma a doppio taglio: l’outcome del Covid-19 acuto è più severo nel sesso maschile ma le reazioni autoimmuni sono più frequenti nel sesso femminile. Lo studio della comparsa di autoanticorpi nel siero dei pazienti e la caratterizzazione della specificità di tali autoanticorpi potrebbero essere un importante obiettivo per cominciare a identificare trattamenti personalizzati e specifici anche in base al sesso dei pazienti affetti da Long Covid.

Redazione Nurse Times

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