Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una collega 24enne che, dopo soli due anni di esercizio, fatica a intravedere un futuro per la professione.
Ai pochi che ci ascoltano, ai tanti che non lo faranno.
Trovarsi qui a scrivere nella speranza di essere ascoltati è un tentativo, sicuramente vano, ma indispensabile per placare l’animo in tempesta di un’infermiera 24enne che accusa i primi colpi di un Sistema sanitario dannoso e si chiede se vale la pena continuare. Sì, dopo soli due anni di lavoro.
Le mie aspettative erano alte, non certo per come viene promosso il corso di laurea, e di conseguenza la professione, ma per come, ogni volta che mi sono ritrovata di fronte a un mio collega – per necessità di salute mia o dei miei cari – ho visto e percepito la passione e il senso di prendersi cura. Tesoro inestimabile, che ho cercato di trasformare come motore e di perpetuare nel corso dei miei studi, del mio tirocinio e oggi nel mio lavoro.
Il mio ingresso è stato precoce, visto il momento storico attuale, ed ero entusiasta, serena, vivace. Ero felice della scelta che avevo fatto. Purtroppo oggi, dopo due anni di pandemia e di lavoro in prima linea, non sono più la stessa. E non è giusto, in primis per me. Come tanti miei colleghi, mi chiedo se VALE LA PENA CONTINUARE, con nessuna prospettiva di miglioramento all’orizzonte, con il peso e lo strascico di tante promesse fatte, mai mantenute, con lo sbeffeggiare continuo di novità per la professione, conteggiate in centesimi.
Dopo due anni di duro ed estenuante lavoro, che in realtà, di base, è sempre lo stesso lavoro che abbiamo fatto e che facciamo con fierezza ogni giorno, è una delusione grande, e lascia spazio a pensieri di resa. Pensiero epidemico, in tutti i sensi. Basti guardare i numeri di chi ha già abbandonato la professione. Se per il Governo questo non è allarmante, non so cos’altro debba succedere perché ci si renda conto della tragedia che si sta configurando: la morte di una professione e le conseguenze delle vittime collaterali, ossia i cittadini.
Occorre un cambiamento drastico alla base, affinché sia solida e portante. Occorre appetibilità in termini di promozione del corso di laurea, in tutte le sue sfaccettature e nei sbocchi professionali-lavorativi, INFORMANDO sulla molteplicità e la multidisciplinarietà della professione, aspetti che non conosci finché non entri dentro nel meccanismo. La misconoscenza o la disinformazione portano ad avere una concezione medicocentrica, come se tutti gli altri professionisti della salute non esistessero. Questo va attuato a partire dalle superiori, quando l’individuo si accinge a fare la scelta universitaria.
Tutto ciò necessità di una spiaggia e di una meta sicura: lo studio è un investimento di vita, come lo è il lavoro. Studiare per ritrovarsi contratti miseri e una carriera assente ha oggi vita breve, perchè ci sono tante proposte più appaganti e cautelative. Oltre che per chi andrà a sostituire chi ha abbandonato, servono motivazioni per restare. E fidatevi: non si tratta solo di una remunerazione, indubbiamente necessaria, ma si tratta di prospettive, stimoli, carriera, riconoscimenti, di un percorso organizzato e meritocratico, che ripaghi dell’impegno in termini di formazione e aggiornamento.
Aspetti indispensabili per un bisogno di salute sempre più dinamico. Il tempo delle pacche sulla spalla è finito. Non siamo angeli: fortunatamente ancora non voliamo, siamo presenti, siamo PROFESSIONISTI.
Redazione Nurse Times
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