Due temi che sono apparsi sulle riviste online di Sanità, Saluteinternazionale.it, Nursetimes.org, QuotidianoSanità.it, appaiono incrociarsi: la Sanità d’Iniziativa (SI) e l’Infermiere di Famiglia. I due articoli, disgiunti nei temi che affrontano, l’uno un’analisi della Sanità D’Iniziativa in Toscana e l’altro l’annuncio di un finanziamento della Regione Lombardia sull’infermiere di Famiglia, sono in realtà due facce della stessa medaglia con una domanda in comune: quale scelta politico-organizzativa per la tutela della salute per il futuro?
L’articolo pubblicato da Saluteinternazionale, a firma di Irene Bellini e Paolo Francesconi rispettivamente della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva e dell’Agenzia Regionale di Sanità della Regione Toscana, si cita uno studio effettuato sui pazienti diabetici e cardiopatici assistiti con il modello del Chronic Care Model dove si evidenzia una riduzione della mortalità rispetto ad un gruppo di controllo assistito con metodologia convenzionale. A questo si aggiunge come la SI migliora l’assistenza, migliora la soddisfazione dei pazienti, migliorano gli indicatori di processo. Il trend positivo viene offuscato da un tasso di ospedalizzazione in aumento ma che bisogna analizzare attentamente prima di giudicare in maniera negativa. Il motivo di quanto si afferma si può verificare dalle conclusioni dei due autori che evidenziano come l’aumento delle ospedalizzazioni potrebbe essere figlio dell’emersione del sommerso, ovvero tutti quei casi di complicanze che non venivano intercettate con l’approccio convenzionale.
I dati tedeschi confermano la tesi degli autori dell’articolo. In Germania, nel 2010 dopo 7 anni dall’introduzione del CCM e con un arruolamento di 5,7 milioni di pazienti, ha visto il dimezzamento della mortalità nei pazienti diabetici, e una diminuzione significativa rispetto a un gruppo di controllo della complicanze come infarto miocardico, ictus, insufficienza renale, amputazioni di arti inferiori, delle ospedalizzazioni per cause DM correlate e dei costi.
Come si lega il tutto all’articolo apparso sulle colonne del nostro giornale online, Nursetimes e QuotidianoSanità rispetto all’annuncio della scelta di investire 90 milioni di Euro in Regione Lombardia per l’istituzione dell’Infermiere di Famiglia?
La proposta avanzata, presentata in occasione del convegno promosso presso l’università Bocconi di Milano per fare il punto sulla riforma sanitaria lombarda il 5 novembre da Giovanni Muttillo e Paola Gobbi rispettivamente Presidente e Segretario del Collegio IPASVI MI – LO – MB, stabilisce le aree in cui l’Infermiere potrebbe essere utilizzato dopo opportuna formazione, forse unico anello di debolezza reale e poco approfondito nella relazione.
Il modello presentato per rispondere alla riforma sanitaria lombarda con il finanziamento per l’introduzione dell’Infermiere di Famiglia nel sistema organizzativo delle cure primarie ben si sposa con il concetto di una SI, infatti essa si definisce come “un modello assistenziale proattivo di gestione delle malattie croniche che non aspetta che il cittadino si ammali o si aggravi (sanità di attesa o modello reattivo), ma agisce prima dell’insorgenza o aggravamento delle patologie. Vengono utilizzati in base al livello di rischio specifici percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali (PDTA), definiti recependo interventi Evidence Based, derivati dalle linee guida e coadiuvati anche da misure di prevenzione ed educazione sanitaria. La sanità d’iniziativa fa riferimento al Chronic Care Model, che pone il paziente, adeguatamente formato e sensibilizzato, al centro di un modello assistenziale multiprofessionale basato sull’interazione tra diversi operatori sanitari”
Occorre dunque, a mio giudizio, un percorso condiviso che coinvolga, oltre ai professionisti sul campo, anche le Organizzazioni che governano le Professioni Sanitarie, le Società Scientifiche, le Università e gli Istituti di Ricerca.
Il percorso per l’introduzione dell’Infermiere di Famiglia non può e non deve diventare una rivendicazione professionale ma un vero e proprio atto di proposta di riforma in senso “proattivo”, come la SI si propone di fare, per migliorare la tutela della salute dei cittadini.
Utile a tal proposito ripercorre come le Cure Primarie, nei paesi OCSE, rappresentino un punto di forza del sistema capace di, in sintesi:
- Sistemi sanitari con all’interno “forti” sistemi di cure primarie sono associati a una migliore salute della popolazione; gli indicatori presi in considerazione sono: a) la mortalità per tutte le cause; b) la mortalità prematura per tutte le cause; c) la mortalità prematura causa-specifica per broncopneumopatie e malattie cardiovascolari.
- Le evidenze dimostrano inoltre che le cure primarie (a differenza di sistemi basati sull’assistenza specialistica) garantiscono una più equa distribuzione della salute nella popolazione.
- Più forti sono le cure primarie più bassi sono i costi.
In questa prospettiva IPASVI può diventare portatore di innovazione attraverso lo studio di una porposta di riforma in tutto il percorso delle Cure Primarie che con l’introduzione dell’Infermiere di Famiglia possono rilanciare il tema della sostenibilità del Sistema solo se si avrà la forza di un intervento di programmazione a lungo respiro.
In Toscana, l’introduzione del CCM nel PSR 2008 – 2010 ha coinvolto nel 2014 per ora poco più del 50% dei Medici di Medicina Generale con diversi livelli di adesione e formazione nei vari territori.
In prospettiva di una riforma toscana, contestata, occorre che IPASVI si metta a correre per individuare i capitoli di spesa sui quali poter incidere affinché il modello introdotto nel 2008 possa arricchirsi con la creazione dell’Infermiere di Famiglia.
Appare urgente in momento storico reso particolarmente complesso dal quadro economico, al netto del de-finanziamento in atto, trarre dall’esperienza degli altri Paesi per implementare le Cure Primarie offrendo nuovi modelli organizzativi da affiancare a quelli in atto.
Capitolo a parte, ma che ritengo importante come Infermiere, è come sia possibile rendere più eque l’assistenza a tutti i cittadini.
A tal proposito ricordo il libro “disuguaglianze nella salute e professione infermieristica” di Giordano Cotichelli.
In un contesto-paese dove stanno crescendo le disuguaglianze sociali, dove i dati ci dicono che l’11% dei cittadini ha rinunciato alle prestazioni sanitarie per motivi economici, tra chi ha risorse economiche insufficienti il 30,2 % dichiara di stare male o molto male contro il 14,8% di chi economicamente ha risorse adeguate se non ottime. Il 50,4% dichiara di rinunciare alla prestazione sanitaria, il 32,4% a causa delle liste d’attesa o della distanza dai centri di cura. Nel 2015 il 41,7 % delle famiglie ha dichiarato che almeno un membro del nucleo famigliare ha rinunciato alle cure per le liste d’attesa.
Con questi dati appare urgente nel nostro Paese ripensare ad un nuovo modello di Assistenza che punti maggiormente alla tutela della famiglia e non del singolo, in un cambiamento culturale che sia di supporto ad una visione organizzativa innovativa.
Bisogna, oggi più di ieri, che l’attività si concentri sempre più sulla persona (person-focused) piuttosto che sulla malattia (disease-focused) con particolare attenzione alla presa in carico della famiglia e tendendo ben presente quelli che sono i determinati sociali in cui essa risiede e si autodetermina.
L’Infermiere, dunque, deve tornare a riappropriarsi di quella capacità di essere intercettatore di bisogni dalla quale far scaturire non solo Piani di Assistenza Individualizzata in grado di rispondere alle esigenze sanitarie della cronicità ma anche portatore di sapere e organizzatore di campagne di informazione e divulgazione delle buone pratiche per la prevenzione delle complicanze.
In questo contesto, occorre, una forte accelerata formativa perché gli Infermieri possano diventare uno strumento ed una risorsa utile al sistema ed al suo riformarsi.
Accanto ad una politica di tutela e valorizzazione della professione infermieristica che sappia portare al giusto riconoscimento del professionista infermiere, è necessario implementare meccanismi di formazione post-laurea e complementare allo svolgimento della propria attività professionale che sappia rispondere alle esigenze del sistema e del territorio in cui di opera.
Per questi motivi, all’inizio dell’articolo proponevo una task–force culturale che mettesse allo stesso tavolo le varie Organizzazioni e Associazioni, in quanto il progetto non può essere alimentato da una sola parte ma deve integrarsi e valorizzarsi all’interno di un lavoro di equipe.
E’ inimmaginabile oggi pensare alle cure primarie, che hanno nell’equipe multi-professionale il loro focus fondamentale, un percorso di sistema attuato disgiuntamente dai professionisti sanitari.
Occorre, dunque, “studiare” in profondità la questione e provare a dare una risposta che non sia limitativa e soprattutto inefficace sul lungo periodo.
Piero Caramello
Approfondimento:
www.saluteinternazionale.info/2015/11/sanita-di-iniziativa-in-toscana/
www.saluteinternazionale.info/2011/06/assistere-le-persone-con-condizioni-croniche/
www.saluteinternazionale.info/2011/06/le-cure-primarie-secondo-barbara-starfield/
“Le disuguaglianze in sanità e la professione infermieristica, risorse e criticità per l’equità del sistema sanitario” di Giordano Cotichelli, edizioni FrancoAngeli
www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=33318
www.quotidianosanita.it/allegati/allegato5220104.pdf
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