Antonio Boscolo Anzoletti Infermiere Coordinatore Terapia Intensiva Cardiologica Chioggia AULSS 3 Serenissima (Ve)
INTRODUZIONE
L’ultrafiltrazione (UF) è una pratica che dai primi anni del 2000 è entrata in ambito cardiologico trovando indicazione nello scompenso cardiaco (HF, Heart Failure) (Costanzo et al., 2005).
È noto che HF sia un importante problema di salute pubblica nei paesi occidentali, soprattutto nella popolazione over 65. Tale patologia è causa di elevata mortalità e morbidità, e riduzione/perdita dell’autosufficienza; inoltre, chi soffre di HF va incontro a eventi acuti che richiedono ricoveri frequenti (Setoguchi et al., 2007), che comportano elevati costi sanitari ma, soprattutto, contribuiscono ad accelerare la progressione della malattia.
Milioni sono i ricoveri, spesso ripetuti nel corso dello stesso anno per AHF e, oltre il 90%, è dovuto a segni e sintomi di sovraccarico di liquidi (Costanzo et al., 2017).
Ciò pone come obiettivo principale, nella gestione di tale paziente, risolvere efficacemente tale sovraccarico (Metra et al., 2012), favorito dal fatto che circa il 25-30% dei pazienti con HF tende a sviluppare una disfunzione renale con progressiva diuretico resistenza (Costanzo et al., 2005). È chiaro che esista un’evidente e insoddisfatta necessità clinica di metodi alternativi e/o integrati per rimuovere i fluidi, che superi la refrattarietà ai diuretici. Una terapia che si è rivelata efficace è l’UF (Costanzo and Jessup, 2012).
L’UF viene praticata in Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC) con dispositivi dedicati di dimensioni compatte rispetto ai dispositivi di sostituzione renale (RRT, Renal Replacement Therapy) in uso nelle nefrologie.
Essa è in grado di ridurre la congestione sistemica e/o polmonare in tempi più brevi rispetto alla terapia diuretica migliorando i sintomi in acuto, mentre, sul lungo periodo, riattiva la funzionalità renale, riducendo le riospedalizzazioni (Costanzo et al., 2010).
Dal 2009 gli infermieri dell’UTIC dell’ULSS 3 Serenissima, del presidio ospedaliero di Chioggia hanno potuto provare le diverse apparecchiature progettate per l’UF dedicate ai pazienti con HF, e conoscere le particolarità di questa metodica. La gestione dell’UF, infatti, è affidata agli infermieri, che gestiscono autonomamente le complicanze minori. Per gli infermieri di UTIC si tratta di un momento di ulteriore professionalizzazione in quanto le tecniche di RRT sono, solitamente, gestite da personale della nefrologia.
Questo breve articolo vuole, a partire dall’esperienza accumulata nei diversi anni, evidenziare i vantaggi della tecnica per i pazienti con HF e l’importanza della gestione infermieristica per il successo della stessa.
INDICAZIONI E MODALITÀ DELL’ULTRAFILTRAZIONE
Inizialmente, nel 2005, l’UF è stata riconosciuta come un’alternativa efficace alla terapia diuretica, molto promettente «(…) il precoce utilizzo dell’UF in pazienti ricoverati in ospedale con AHF è possibile, ben tollerato e ha portato a notevoli risultati in termini di rimozione di liquidi e perdita di peso» (Bart et al., 2005).
Nel corso degli anni successivi, alcuni studi hanno posto dubbi su quest’ultima affermazione e, nel 2015, lo studio CARESS-HF poneva in discussione l’UF come un’alternativa efficace e sicura alla terapia diuretica suggerendo che «…nei pazienti ricoverati con AHF, ridotta funzione renale (…), il ricorso all’UF non offre vantaggi rispetto a una terapia medica ottimale con diuretici (…)» (Lala Anuradha et al., 2015). Tali affermazioni negative sono state parzialmente smentite in seguito (Kazory and Ronco, 2013), a dimostrazione della necessità di ulteriori studi per spiegare gli aspetti essenziali dell’UF che ancora rimangono poco definiti, e confermare i dati che suggeriscono i benefici sostenuti dell’UF (Costanzo et al., 2017).
Attualmente le LG dell’European Society of Cardiology (ESC),) affermano: “l’uso di routine dell‘UF non è raccomandato e dovrebbe essere limitato ai pazienti che non rispondono alle strategie diuretiche” (Ponikowski et al., 2016). L’American Heart Association (AHA) lo conferma ponendo l’UF in classe (IIaB) (Yancy et al., 2013).
Come esposto dalle LG e, in attesa di ulteriori studi, a conferma o prova del contrario, attualmente l’UF resta indicata solamente per i pazienti refrattari alla terapia diuretica, da considerarsi dopo che questa non abbia consentito la consistente riduzione del sovraccarico idrico.
Il maggiore accesso all’UF è stato facilitato dallo sviluppo di dispositivi semplificati (Kazory and Ronco, 2013) con la possibilità di essere gestiti interamente dagli infermieri di UTIC. La metodica utilizzata è l’UF (isolata) lenta o SCUF (Slow Continuous UltraFiltration) che permette il proporzionale spostamento, continuo e graduale di acqua dallo spazio extravascolare al letto vascolare, non compromettendo la stabilità emodinamica, tale processo viene detto refilling (Nalesso et al., 2010).
Nel contempo, si assiste all’incremento degli scambi dei gas col rispettivo miglioramento dei sintomi respiratori (Costanzo et al., 2010) e alla riattivazione dei meccanismi di risposta ai diuretici.
L’UF produce acqua plasmatica attraverso l’applicazione di un gradiente pressorio su una membrana semipermeabile. L’ultrafiltrato è pertanto isotonico rispetto al plasma (Ronco et al., 2001).
L’UF rimuove i liquidi in eccesso, riducendo la congestione extra vascolare e sistemica, differentemente dell’emofiltrazione che depura anche il sangue, non necessita di dispositivi altamente complessi. L’UF, quindi, non è dialisi, ma è quanto mai utile per il paziente con AHF resistente alla terapia diuretica. Infatti nella progressione dell’HF si instaura una situazione clinica definita Sindrome Cardiorenale: cuore e rene, sono organi anatomicamente lontani ma strettamente legati tra loro. Il coinvolgimento patologico di uno, infatti, può indurre conseguenze nell’altro (“Sindrome cardio-renale,” 2019).
Sinteticamente: la disfunzione cardiaca presente nell’HF associata alla terapia diuretica e all’attivazione neurormonale, determina una riduzione del flusso ematico con diminuita perfusione renale. Il risultato di tale situazione è una disfunzione renale con sviluppo di diuretico resistenza. Gli studi suggeriscono che circa il 25-30% dei pazienti con HF la sviluppa. Ciò limita gli effetti delle terapie, aggravando l’insufficienza cardiaca congestizia (Costanzo et al., 2005), comportando sovraccarico idrico periferico e/o edema polmonare, peggiorando la qualità della vita con aumento di morbidità e mortalità.
L’utilizzo dell’UF in questa categoria di pazienti produce un miglioramento delle condizioni cliniche e permette la riduzione della durata di degenza e degli episodi di instabilizzazione clinica (Kazory and Ronco, 2013), e, quindi, dei ricoveri per AHF, migliorando infine la qualità della vita di tali pazienti.
Come già accennato in precedenza esistono ancora dei dubbi da chiarire in quanto l’UF non è ancora sufficientemente studiata, (benefici, ripristino diuresi, mortalità a lungo termine); le conoscenze attuali non rispondono con certezza all’effettiva superiorità dell’UF rispetto ad altre forme di RRT o ai diuretici. Il maggior consenso ed evidenza è circa l’utilità dell’UF per la rimozione di fluidi in caso di refrattarietà alla terapia medica (Fiaccadori et al., 2010).
I DISPOSITIVI UF DEDICATI
Questi dispositivi, sono accomunati nell’eseguire solo SCUF, perciò riducono alla base i rischi d’instabilizzazione emodinamica e sono in grado di utilizzare, al posto di una vena centrale, quando non disponibile, anche una o due vene periferiche.
L’uso di una vena periferica permette di ridurre i tempi di inizio della terapia evitando i tempi di attesa per l’inserimento del CVC, come pure la riduzione dei rischi di infezione dello stesso, e la possibilità di eseguire la procedura in regime di Day Hospital (DH). Gli infermieri dell’UTIC in oggetto, hanno sperimentato con successo l’inserimento periferico ecoguidato di aghi cannula 16-15G o Mid-line in basilica o cefalica.
Nell’UTIC considerata, dal 2009 al 2018 si sono potuti testare i tre dispositivi per UF dedicati alla cardiologia in commercio: Aquadex®, Dedyca® (la produzione di quest’ultimo è stata sospesa nel periodo di stesura dell’articolo) e Chiara®. Non si vuole comunque in questo scritto fare graduatorie ma illustrare i punti di forza comuni che rendono questi dispositivi un’opportunità terapeutica valida per i pazienti con HF e le implicazioni connesse alla metodica per il personale infermieristico.
In figura 1 alcune differenze fra gli apparecchi presenti in nefrologia e quelli dedicati all’UF.
GESTIONE INFERMIERISTICA IN UTIC DELL’UF
La SCUF, eseguita con dispositivi da dialisi è sempre stata eseguita in UTIC, ma tali dispositivi sono sovradimensionati per volumi e scopi rispetto al paziente congesto per AHF che deve solo togliere acqua. Infatti, l’utilizzo di macchine da dialisi comporta alti ingombri, alta complessità, lunghi tempi di formazione, e spesso dipendenza da altre U.O.
Al contrario, i nuovi dispositivi per l’UF d’utilizzo cardiologico sono maneggevoli, poco ingombranti, di bassa complessità e necessitano, quindi, di breve formazione: ideali quando vi è solo la necessità di rimuovere elevate quantità di liquidi senza depurazione.
I dispositivi dedicati alla SCUF consistono in una macchina compatta e portatile, di un filtro monouso, e circuiti OUT-IN in cui scorre il sangue prelevato dall’accesso venoso (CVC o CVP); questo viene portato al filtro che rimuove l’acqua in eccesso e poi reintrodotto nel paziente. Inoltre le complicanze sono poche e raramente pericolose.
Il cardiologo prescrive:
– procedura;
– infusione dell’anticoagulante, (eparina);
– velocità di ultrafiltrazione (ml/h);
– quantità totale del liquido da rimuovere.
Gli infermieri gestiscono in toto la metodica fino al raggiungimento dell’obbiettivo terapeutico (una quantità nota di ultrafiltrato), comprese le complicanze minori.
Tre sono i parametri da impostare una volta eseguito il priming del dispositivo:
- Flusso di sangue: da 0 a 100ml/min tenendo presente che va scelto il flusso più alto possibile per evitare coagulazioni nel filtro.
- Velocità di ultrafiltrazione: da 200 a 1000ml/h (in relazione alla quantità d’acqua da rimuovere).
- Infusione Eparina: secondo APTT (range terapeutico 70-90”).
La gestione del dispositivo ed il monitoraggio emodinamico sono affidate al personale infermieristico formato sull’uso di questi dispositivi. Una sola sacca da sostituire, 1-2 volte al giorno che contiene l’ultrafiltrato in relazione all’obiettivo terapeutico.
Gli allarmi principali si riferiscono all’eccessiva pressione presente in una delle tre sezioni del dispositivo, ad indicare un ostacolo al fluire del sangue all’interno del sistema (per es.: ostruzione delle vie OUT-IN o ridotta anticoagulazione). L’intervento dell’operatore può prevenire l’occlusione del filtro e la sua costosa sostituzione. Va ricordato che un filtro per questi device costa mediamente 4-5 volte di più di un filtro da dialisi. Il prezzo più alto si compensa con una minore degenza e con minori episodi di instabilizzazione successivi.
Altri allarmi sono: perdite ematiche (disconnessione delle linee), rilevazione di bolle d’aria nel sistema e l’avviso della sacca di UF piena.
L’infermiere si concentra sugli effetti indesiderati che possono verificarsi che includono (Bart et al., 2005; Ponikowski et al., 2016; Streets and Vickers, 2012; Yancy et al., 2013):
– complicanze correlate all’accesso vascolare (infezione o trombosi);
– embolia gassosa;
– emolisi ed iperkaliemia;
– emorragie (rottura linea infusionale/sraccordo/eccessiva scoagulazione);
infezioni;
– reazione allergica (rara) correlata alle reazioni di immunoglobuline e o all’ossido di etilene usato per sterilizzare il circuito extracorporeo;
– ipotensione (rara), in pazienti particolarmente instabili.
L’infermiere in primis coinvolge il paziente, quando in grado, a collaborare attivamente nella gestione della procedura di UF e non solo, sottolineando l’importanza di alcuni fattori quali:
– Porre attenzione alle linee OUT-IN evitando che si impiglino, si pieghino o si comprimano, ciò limiterebbe il flusso rischiando la coagulazione nel filtro e l’interruzione anticipata della procedura.
– Monitorare che le linee non si scolleghino perché ciò potrebbe causare sanguinamenti anche gravi.
– Richiedere assistenza quando si svolgono attività quotidiane, o qualsiasi cosa che possa interferire con lo scorrimento delle linee OUT-IN.
– Segnalare segni e sintomi di disidratazione: palpitazioni, vertigini o stordimento.
– Rispettare le restrizioni di sodio e fluidi e indicare entrate/uscite per il bilancio idrico.
Un fattore particolarmente importante è la gestione dell’immobilizzazione forzata caratterizzante la metodica, che può durare fra le 24 e le 48 ore. Si pensi alla tipologia tipica del paziente congesto, spesso anziano, per cui tale periodo di immobilità può influire negativamente sull’outcome generale. È fondamentale mettere in atto tutte le attività preventive adeguate per evitare le complicanze dell’immobilizzazione.
Inoltre, è utile che l’infermiere documenti, oltre al peso, le misure di polpacci, cosce e addome del paziente, prima e dopo il trattamento per valutare l’efficacia della metodica e attesti meticolosamente inizio e fine del processo e le uscite totali.
Durante la terapia l’infermiere monitora continuamente i parametri vitali, e valuta i siti di accesso almeno ogni 2 ore per eritema, dolorabilità, edema, e sanguinamento.
Mantiene le restrizioni sui fluidi e aiuta il paziente a rispettarle.
Monitora il dispositivo dell’UF per evitare complicanze che possano determinare la conclusione anticipata del trattamento come il danneggiamento del filtro legato a inefficace anticoaugulazione o ad ostruzioni del circuito (anche parziali) che riducono il flusso ematico. Per questo vanno controllati con attenzione l’APTT e il flusso nelle vie OUT-IN.
Per complicanze quali instabilità emodinamica, molto rara, o ipotensione, contatta il medico e imposta la velocità di UF a 0 ml/h per 30 minuti o fino alla stabilizzazione, pur mantenendo il flusso.
Si ritiene utile dedicare un infermiere alla gestione del sistema paziente-dispositivo ma non sempre le risorse presenti consentono questa soluzione aumentando, più che i rischi di danni diretti al paziente, le interruzioni anticipate e i costi connessi.
CONCLUSIONI
I benefici dell’UF, se confermati dagli studi ancora in atto, diventeranno uno dei punti di forza nella cura dell’HF grazie a dispositivi dedicati che permettono già ora:
– ridotti tempi di formazione;
– bassi rischi per il paziente;
– agevole e importante gestione infermieristica della stessa U.O., ai fini dell’outcome finale del paziente;
– riduzione dei costi.
L’UF offre ai medici nuove possibilità per migliorare la situazione dei pazienti con HF anche in una prospettiva sempre più rivolta verso l’esterno dell’UTIC (ambulatorio scompenso e/o DH) in cui l’infermiere è co-protagonista della gestione di tali pazienti.
CONFLITTO DI INTERESSI
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.
FINANZIAMENTI
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.
Fonte: www.infermiereonline.org
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