Nell’ambito delle nuove attività previste dal Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, si assiste sempre di più alla volontà di voler implementare nuovi modelli di assistenza sanitari.
Per definizione, la scienza d’implementazione (IS), è “lo studio scientifico dei metodi per promuovere la diffusione sistematica dei risultati della ricerca o altre innovazioni di comprovata efficacia nella routine clinica, con lo scopo di migliorare la qualità ed efficacia dei servizi sanitari”. Uno dei padri fondatori dell’IS è Rogers, che la concettualizzò nella pubblicazione del 1962 “Diffusion of innovations”.
La scienza dell’implementazione nasce per migliorare e agevolare l’adozione di innovazioni, interventi e procedure di comprovata efficacia in modo da aumentare il loro impatto sulla salute pubblica. Le organizzazioni si confrontano con complessità che interessano tutti i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo; infatti, rappresentano una delle sfide più significative delle imprese private e delle amministrazioni pubbliche italiane ed europee.
Nel panorama italiano, in particolare, le aziende sia pubbliche che private puntano sempre più all’implementazione di nuovi sistemi di management, alla costruzione di nuove modalità di lavoro, alla formazione e al monitoraggio delle prestazioni. La scienza dell’implementazione ha l’ambizione di seguire un metodo scientifico, e condivide l’approccio rigoroso della ricerca clinica. La letteratura scientifica suggerisce come, spesso, siano necessari quasi 17 anni per assorbire alcune innovazioni nella pratica clinica, questo causa un ritardo nell’offerta di assistenza alla luce non solo delle migliori pratiche disponibile e validata ma anche di servizi tempestivi ed aggiornati.
Uno studio di implementazione fornisce informazioni su variabili tipicamente divise in:
- misure quantitative, ottenute generalmente mediante survey strutturate e strumenti per valutare attitudine e comportamenti degli attori.
- misure qualitative, che forniscono informazioni dettagliate sull’impostazione o sul contesto ed enfatizzano le voci dei partecipanti attraverso citazioni. Gli strumenti metodologici tipicamente utilizzati sono interviste semi-strutturate, focus group, osservazioni dirette dei processi.
Tanti sono i modelli che già nello scorso secolo studiavano il fenomeno innovativo: King sosteneva l’innovazione capace di fa abbandonare l’idea di modelli descrittivi di tipo logico-lineare, questo approccio ci spinge quindi a prevedere modelli più fluidi in cui le classiche fasi dei modelli basati sugli stadi non sono distinguibili. Il modello di Schroeder, Van de Ven, Scudder e Pooley (1989), opponendosi ai classici modelli stadiali (es.: Zaltaman e al. 1973, Rogers,1983, Staw, 1990), proponeva la considerazione di un processo fluido basato sull’osservazione di aspetti comuni nella generazione ed implementazione delle innovazioni.
Breve sintesi dei disegni di studio
Tra i disegni di studio più utilizzati per verificare l’esito dell’implementazione di una Buona Pratica (BP) troviamo sicuramente gli studi di osservazione del processo nella quale vengono descritti le caratteristiche dell’utilizzo della EBP nella pratica (o il suo non utilizzo). Spesso questi studi rappresentano lo step preliminare alla estensione e divulgazione della EBP.
Gli studi controllati mirano ad ottenere “feedback” in itinere al fine di ottimizzare ed apportare modifiche, laddove necessario, alla strategia di implementazione. Gli studi controllati si articolano in due sottogruppi: nei disegni a gruppi paralleli e nel disegno “stepped wedge”.
Considerata la natura innovativa del processo, assistiamo oggi, anche alla nascita di modelli di studi Ibridi. Questi disegni di studio permettono di prevedere a priori la validità della Buona Pratica sia da un punto di vista di “efficacia” sia per quanto riguarda l’impatto in termini di salute che può produrre.
Dott.ssa Marica Scotellaro
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