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Leucemia linfatica cronica: nuovi passi avanti nella ricerca

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Leucemia linfatica cronica: nuovi passi avanti nella ricerca
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Lo studio di fase 2 CAPTIVATE ha dimostrato che la combinazione degli inibitori di BTK ibrutinib e di BCL2 venetoclax determina in molti casi la non rilevabilità della malattia minima residua sia nel sangue periferico che nel midollo osseo.

I risultati dello studio di fase 2 CAPITVATE presentati a Orlando al 61esimo congresso della Società americana di ematologia (ASH), ha dimostrato che, nei pazienti con leucemia linfatica cronica trattati in prima linea con la combinazione dell’inibitore di BTK ibrutinib e dell’inibitore di BCL2 venetoclax, una percentuale elevata raggiunge la non rilevabilità della malattia minima residua (MRD) sia nel sangue periferico sia nel midollo osseo.

Con questo regime orale e chemo-free (del tutto privo, cioè, di chemioterapia) si è osservata nello studio una MRD-negatività del 75% nel sangue periferico e del 72% nel midollo osseo. «Questi eccellenti risultati confermano il sinergismo mostrato dai due agenti negli studi preclinici – ha affermato il primo autore dello studio, Constantine S. Tam, del Peter MacCallum Cancer Centre dell’Università di Melbourne (Australia) –. Inoltre il favorevole profilo di sicurezza della combinazione, la bassa percentuale di interruzioni del trattamento a causa di un evento avverso (solo il 5%) e il fatto che il 90% dei pazienti abbia completato il trattamento previsto, evidenzia davvero come questo regime rappresenti una valida opzione praticabile per questi pazienti».

CAPTIVATE (NCT02910583) è uno studio multicentrico internazionale, randomizzato e controllato, nel quale i pazienti sono suddivisi in diverse coorti e al quale hanno partecipato anche diversi centri italiani, fra cui l’Ospedale San Raffaele e l’Ospedale Niguarda di Milano. Gli sperimentatori hanno arruolato 164 pazienti con leucemia linfatica cronica naïve al trattamento e che necessitavano di essere trattati secondo i criteri dell’International Workshop on Chronic Lymphocytic Lymphocytic Leukemia. Per poter essere inclusi nel trial, i pazienti dovevano avere meno di 70 anni e un performance status ECOG pari a 0 o 1.

Ibrutinib è stato somministrato inizialmente come agente singolo alla dose di 420 mg al giorno per i primi tre cicli, dopodiché si è aggiunto venetoclax partendo con 20 mg/die e salendo di dosaggio fino ad arrivare a 400 mg, nel giro di 5 settimane. La combinazione è stata somministrata per almeno 12 cicli. L’MRD-negatività è stata definita come la presenza di meno dello 0,01% di cellule leucemiche nel sangue periferico (misurata con la citometria a flusso) dopo 6 cicli di terapia combinata e misurata nuovamente nel midollo osseo dopo 12 cicli di trattamento con la combinazione dei due agenti.

I dati presentati a Orlando sono relativi alla cosiddetta coorte MRD e si riferiscono alla fase pre-randomizzazione di questa coorte, fase nella quale i pazienti sono stati trattati come descritto sopra. I risultati della fase randomizzata non sono ancora disponibili. Nella fase randomizzata, i pazienti vengono trattati in modo diverso a seconda che siano risultati MRD-negativi o MRD-positivi alla fine della fase precedente. In particolare, quelli con MRD non rilevabile vengono assegnati in rapporto 1:1 al trattamento con ibrutinib o un placebo, mentre quelli con MRD rilevabile al trattamento con ibrutinib o ibrutinib più venetoclax. La terapia di durata limitata con ibrutinib più venetoclax per 12 cicli viene valutata in una coorte separata di 159 pazienti.

Nella coorte di cui sono stati portati i risultati a Orlando, l’età mediana dei pazienti era di 58 anni (range: 28-69) e il 32% aveva una leucemia in stadio RAI III/IV. Il 20% dei pazienti presentava la delezione 17p (del17p) o mutazioni di TP53, il 17% la delezione 11q e il 59% aveva IGHV non mutate, tutte caratteristiche associate a un alto rischio di progressione. La mediana della clearance della creatinina era di 95,0 ml/min e il 30% dei pazienti aveva una clearance < 80 ml/min.

Sebbene lo studio non avesse lo obiettivo specifico di arruolare pazienti con caratteristiche citogenetiche associate a un alto rischio, Tam ha spiegato che gli sperimentatori hanno finito per arruolare una quota elevata di pazienti di questo tipo. I primi risultati di questo studio erano stati presentati al congresso annuale dell’ASCO nel 2018, nel quale erano stati riportati un tasso di risposta obiettiva (ORR) del 100% e un tasso di MRD-negatività del 77% nel sangue periferico dopo 6 cicli di trattamento.

Inoltre, in 11 pazienti trattati con 12 cicli di ibrutinib e venetoclax, dei quali erano disponibili i dati sul midollo osseo, il tasso di remissione completa è risultato del 36% e quello di remissione completa con recupero ematologico incompleto del 18%. Le risposte rimanenti consistevano in risposte parziali nodulari (9%) e risposte parziali (36%). Tutti i pazienti che hanno raggiunto una remissione completa o una remissione completa con recupero ematologico incompleto avevano anche un MRD negativa confermata nel midollo osseo, mentre l’MRD-negatività è risultata del 60% in quelli che hanno mostrato una risposta parziale nodulare o una risposta parziale (36%).

Tornando ai dati presentati quest’anno a Orlando, dopo i primi tre cicli di ibrutinib, ha riferito Tam, si è evitato il ricovero per la sindrome da lisi tumorale (TLS) nel 76% dei pazienti a rischio. Tra i pazienti che avevano un alto rischio basale di TLS, il 90% è diventato a medio o basso rischio e il 74% non è stato ricoverato in ospedale quando ha iniziato il trattamento con venetoclax. Inoltre, nessun paziente con rischio di TLS medio o basso è diventato ad alto rischio, ha osservato l’autore.

Cinque pazienti hanno sospeso ibrutinib prima di iniziare il trattamento con venetoclax; quattro a causa di eventi avversi e uno perché ha sviluppato una trasformazione di Richter. Invece, sette pazienti hanno interrotto il trattamento con la combinazione dei due agenti a causa di un evento avverso (quattro pazienti), oppure della progressione della malattia, del ritiro del paziente dallo studio o per decisione dello sperimentatore (un paziente in ciascun caso). Il 90% dei pazienti (152) ha completato tutti i 12 cicli di terapia con la combinazione ibrutinib/venetoclax e non si sono registrati decessi.

L’MRD è stata valutata nel sangue periferico (in 163 pazienti) e nel midollo osseo (in 155). Nei pazienti che avevano una MRD non rilevabile al ciclo 16 nel sangue periferico e di cui erano disponibili anche i campioni di midollo osseo, il 93% presentava una MRD non rilevabile sia nel sangue periferico sia nel midollo osseo. Nella popolazione intent-to-treat (formata da 164 pazienti), la non rilevabilità dell’MRD è stata raggiunta nel 74% dei pazienti nel sangue periferico e nel 68% nel midollo osseo, rispettivamente, con non più di 12 cicli di trattamento combinato con i due inibitori.

Nei pazienti nei quali si è valutata l’MRD, le percentuali elevate di MRD-negatività si sono mantenute nel tempo. «È importante notare si sono raggiunte alte percentuali di non rilevabilità dell’MRD indipendentemente dalle caratteristiche cliniche avverse, tra cui la presenza della del17p, di mutazioni di TP53, di IGHV non mutate e di un cariotipo complesso», ha detto Tam.

Il profilo di sicurezza della combinazione ibrutinib/venetoclax è risultato in linea con i profili di sicurezza già noti dei due inibitori. Gli eventi avversi più comuni osservati durante il trattamento con il solo ibrutinib sono stati diarrea, artralgia, affaticamento, mal di testa, nausea, infezioni delle vie respiratorie superiori, vomito, ipertensione e trombocitopenia, mentre la neutropenia è stata l’evento avverso più comune di grado 3/4.

Gli eventi avversi più comuni associati alla combinazione dei due farmaci sono stati principalmente di grado 1/2 e quelli di grado 3/4 sono stati più frequenti durante i primi tre cicli di terapia con l’associazione (39%), per poi diminuire (15%) negli ultimi 3-4 cicli. Il 57% dei pazienti ha manifestato eventi avversi correlati al trattamento di grado 3/4 ed eventi avversi correlati al trattamento gravi si sono verificati nell’11% dei pazienti.

La neutropenia di grado 3/4 è stata un evento avverso non infrequente anche con la combinazione, alla quale si è sono associate anche, seppure con una bassa incidenza, fibrillazione atriale, emorragia maggiore, neutropenia febbrile e TLS di laboratorio di grado 3/4. Si sono registrati due casi di fibrillazione atriale durante il trattamento con il solo ibrutinib e un caso durante il trattamento con la combinazione. Nessun paziente, invece, ha sviluppato TLS clinica.

«Diarrea, nausea, vomito e neutropenia sono probabilmente eventi avversi aggiuntivi legati all’aggiunta di venetoclax a ibrutinib», ha detto ancora Tam. In 8 pazienti (il 5%) si è dovuta interrompere la terapia con il solo ibrutinib o con ibrutinib/venetoclax a causa di eventi avversi Il 14% degli eventi avversi ha portato a dover ridurre la dose della terapia con ibrutinib contro il 9% che ha portato a dover ridurre il dosaggio di venetoclax.

Tam e i colleghi hanno eseguito anche valutazioni di farmacocinetica. L’AUC media di venetoclax è risultata maggiore quando il farmaco è stato somministrato con ibrutinib (58.6 μg · h/ml) rispetto ai dati storici osservati con venetoclax in monoterapia (32,8 μg · h/ml), ma è risultata all’interno del range osservato con le dosi studiate in precedenza. L’aumento dell’AUC di venetoclax, inoltre, non ha avuto riflessi sul fronte della sicurezza, mentre l’AUC media di ibrutinib è rimasta praticamente invariata quando si è aggiunto venetoclax (646 ngh/ml) rispetto al trattamento con il solo ibrutinib nei cicli iniziali (641 ngh/ml).

Redazione Nurse Times

Fonte: PharmaStar

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