Ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale. Il racconto è stato scritto dopo aver raccolto testimonianze di pazienti stanchi di competere con le tastiere di computer troppo tecnologici, muri bianchi e freddi, camici insensibili e frettolosi.
851-D Avanti! Ambulatorio 2.
“P-p..permesso”.
Avanza timido e incerto il sig. Meucci (nome di fantasia). Rosso in volto, mostra una calma apparente.
Esita a spostare la sedia per accomodarsi, forse perchè il medico non ha ancora alzato lo sguardo, nè lo ha salutato. Sta finendo di scrivere al computer la consulenza del paziente precedente, ma il signor Meucci non lo sa.
Chiuso sulle spalle, solleva la cinghia dei pantaloni, come per sistemarli.
Apre il primo bottone della giacca, come se avesse caldo. Alterna il peso da un piede all’altro, come se non riuscisse a mantenere l’equilibrio. Si passa la mano tra i capelli, tocca il lobo dell’orecchio, si morde il labbro. Come una pedina in una strana posizione, il paziente si erge di fronte alla scrivania.
Il medico sta ancora scrivendo.
“Si accomodi signore”, gli suggerisco timidamente mentre sto preparando il carrello per la medicazione.
Il medico indaffarato alza allora lo sguardo nervoso mentre il paziente tiene le pupille fisse su quella smorfia. E’ la ventunesima visita della giornata.
Ma è davvero così prioritaria la tastiera del pc rispetto ad un cordiale saluto spezza tensione?
La visita si conclude in dieci minuti.
Il sig. Meucci non ha il coraggio di chiedere spiegazioni ed io, sugli aspetti tecnici e farmacologici posso solo eplicarne il significato.
“Legga bene e ci vediamo tra quindici giorni dopo la cura che le ho prescritto”. Punto. Visita glaciale, discorso telegrafico. Esclamazioni che vagano a mezz’aria. Sguardo esausto come una pila scaduta. Nemmeno il dolore ha trovato lo spazio per esprimersi. Non ci sono lamenti nè lamentele da parte del paziente. Solo sottomissione, soggezione e sudditanza.
Non è giusto caro signor Meucci, ed è per questo che mi sono permessa di scrivere a quel medico.
Caro Dottore,
l’intensità di un sorriso non si misura dall’arcata labiale o da quanti denti vengono messi in mostra, ma da quante rughe di espressione mostrano gli occhi.
Essi possono esprimere molto più di un discorso fatto di sofisticate e ricche parole, molto più di un buongiorno pronunciato a bocca larga e molto più di una stretta di mano. Non occorre che si alzi a darla ad ogni paziente.
Non servono gesti protettivi o compiacenti. Tenda loro il suo volto e lasci parlare gli occhi piuttosto.
Le ricordo caro dottore che gli esseri umani hanno conosciuto più il dolore psichico che fisico. Se per il secondo, le medicine le prescrive lei, per il primo non ci sono farmaci. Ma lei può fare tanto lo stesso sa?
Può essere lei stesso una medicina, dedicando cinque minuti del suo tempo a chiedere ai suoi pazienti come stanno, appena entrano da quella porta.
Se una tastiera e un computer la innervosiscono più di una ennesima visita, li lasci perdere. Il suo lavoro è essere medico o no?
Essere medico significa osservare, chiedere, toccare, esprimere, spiegare e solo alla fine scrivere, poco, telegrafico, semplice e chiaro. Ma se vuole solo fare il medico, beh… allora è cosa diversa. Lei cosa vuole essere? E cosa vuole fare?
Se non nota la paura, nei suoi pazienti, come può capire se la sua cura avrà effetto, o se il suo paziente la seguirà per intero?
Conosce l’umiltà dottore? Quella di chi barcolla incerto sudando freddo, quella di chi arrossisce solo a vedere un camice bianco, quella di chi si emoziona per una diagnosi, e quella di chi non ha il coraggio di sedersi su una stupida sedia pubblica senza permesso. Ecco quella è l’umiltà.
Essere umili non significa stare in un gradino troppo basso. Significa considerare che quello che per lei è importante, fondamentale e impetuoso, può esserlo anche per altri esseri umani, con la differenza che , mentre lei, con un camice bianco, scrive in quel maledetto computer, loro stanno dall’altra parte della scrivania.
Loro stanno male e lei no; provano dolore e lei no. Loro si emozionano, sudano e tremano. E lei no.
Stasera la luna è sottile e mi appare quasi arrugginita. Chissà se anche lei, la vede uguale a me.
Buonanotte dottore,
La sua Infermiera.
Fanni Guidolin
Lascia un commento