Si chiama Shockwave e permette di demolire le placche delle coronarie.
Si chiama Shockwave, letteralmente sistema a onde d’urto, la tecnica innovativa utilizzata per la prima volta nell’Unità operativa di Cardiologia interventistica dell’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce. La metodica è stata impiegata nei giorni scorsi su una paziente di 78 anni con molteplici fattori di rischio cardiovascolare e con una storia recente di angina da sforzo.
L’esame coronarografico aveva messo in evidenza un restringimento critico dell’arteria coronaria, con evidenti calcificazioni sul tratto prossimale. L’equipe di Cardiologia interventistica, guidata da Giuseppe Colonna, ha quindi deciso di applicare la tecnica Shockwave, tagliando un importante traguardo: è il primo intervento del genere eseguito in tutto il Sud Italia, da quando la tecnica è stata presentata per la prima volta in assoluto a Parigi, durante congresso PCR (dal 22 al 25 maggio 2018).
La paziente è stata dunque sottoposta a trattamento percutaneo (una procedura mini-invasiva che evita l’intervento chirurgico) con l’esecuzione della tecnica Shockwave, seguita da un’angioplastica tradizionale con l’impianto di stent multipli, particolari tubicini usati per riparare le arterie ostruite o indebolite. Il pre-trattamento con Shockwave ha permesso di rimodellare la lesione calcifica e di trattarla agevolmente con l’angioplastica di routine, raggiungendo un ottimo risultato finale.
«La tecnica – spiega il dottor Colonna – sfrutta il principio della litotrissia, già ampiamente utilizzato in urologia per il trattamento della calcolosi renale, e permette di trattare con semplicità e sicurezza le lesioni coronariche maggiormente calcifiche. Si tratta di placche molto dure,difficilmente dilatabili con i comuni palloni di angioplastica e con gli stents. Tali placche richiedono metodiche particolarmente cruente e aggressive come il Rotablator, una fresa che polverizza la placca calcifica, aumentando il rischio procedurale».
Si tratta di un catetere a palloncino, dotato di emettitori per litotrissia posizionati sulla lunghezza utile del palloncino stesso, e di un generatore (collegato al catetere con un cavo di connessione) che viene utilizzato per attivare, tramite un pulsante, i cicli di litotrissia e quindi l’emissione delle onde d’urto, che in pratica triturano le placche che ostruiscono l’arteria. La nuova metodica che si avvale del sistema per litotrissia intravascolare coronarica promette di rivoluzionare il trattamento delle lesioni coronariche calcifiche.
«Con questa recente metodica la Cardiologia interventistica del “Fazzi” – spiega ancora Colonna – si appropria di un’ulteriore innovazione tecnologica, incrementando le potenzialità di trattamento interventistico sulle lesioni più complesse e ponendosi all’avanguardia alla pari di centri italiani di eccellenza. Tali trattamenti sono peraltro possibili grazie all’utilizzo del nuovo angiografo di ultima generazione, ormai a pieno regime da circa tre mesi».
Nella nuova sala angiografica si effettuano procedure sempre più complesse, impensabili fino a qualche anno fa, grazie alla perizia dell’equipe e dell’Heart Team (specialisti di emodinamica, cardiochirurghi e cardioanestesisti che operano insieme), ma soprattutto sfruttando le potenzialità tecnologiche di cui oggi dispone l’Unità operativa di Emodinamica e la possibilità, fornita dal secondo angiografo, di garantire una maggiore sicurezza per il paziente acuto in caso di avaria.
L’incremento quantitativo e qualitativo delle prestazioni si è registrato non solo per l’ambito coronarico (nel 2017 sono state eseguite 1881 procedure totali, +9% sul 2016, con 703 angioplastiche coronariche), ma anche per quello della patologia strutturale, come la valvulopatia aortica. In tale specifico campo d’intervento, quest’anno è stato eseguito un numero doppio di procedure di TAVI (l’impianto della valvola aortica attraverso catetere, senza fermare il cuore) rispetto allo stesso periodo del 2017.
Redazione Nurse Times
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