Quante volte ci siamo sentiti dire che l’infermiere è responsabile dell’assistenza generale infermieristica e per questo gli compete l’assistenza di base, quante?
Se fosse vero anche il primario, quale responsabile di tutta l’attività assistenziale svolta nell’Unità Operativa (D.P.R. n. 128/69), dovrebbe provvedere al giro letti per esempio. Confondere responsabilità con competenze è uno dei metodi usati durante l’indottrinamento per sfruttare appieno il tirocinante prima e il professionista poi.
Il Decreto Ministeriale 14 settembre 1994, n. 739 attribuisce agli infermieri la responsabilità oggettiva, cioè dovrebbero soddisfare i bisogni primari del paziente attraverso le figure di supporto e non direttamente.
Le mansioni igienico-domestico-alberghiere, che la Suprema Corte definisce attività elementari o meramente esecutive, non sono mai state attribuite all’infermiere professionale ma al generico (D.P.R. n. 225/74).
Queste mansioni costituivano già allora, ad opera dell’infermiere professionale, un pregiudizio alla professionalità soprattutto in virtù degli artt. 99 e 100 T.U. Leggi Sanitarie che definivano l’attività dell’infermiere come “professione” includendola nel novero delle “locatio operarum” cioè delle professioni intellettuali di cui all’art. 2229 C.C..
L’evoluzione normativa ha equiparato la professione infermieristica a quella medica, professione sanitaria che la legge tutela (art. 348 C.P.) perché si fonda sul conseguimento di un titolo abilitante rilasciato dallo stato.
Serve una laurea e un’abilitazione professionale per fare le stesse cose che fanno i parenti dei pazienti allettati a casa? Quanti di loro sono stati condannati per esercizio abusivo della professione infermieristica per aver appagato i bisogni primari dei propri cari?
Ovviamente nessuno perché non sono atti propri dell’infermiere.
Dopo la chiusura delle scuole per infermieri generici avvenuta nel 1980, il legislatore ha creato diverse figure, inferiori nella scala gerarchica rispetto al professionale, in sostituzione dell’infermiere generico che si sono evolute fino alla creazione dell’Operatorio Socio Sanitario. L’Accordo Conferenza Stato Regioni del 22 Febbraio 2001 stabilisce le minime mansioni e funzioni che l’O.S.S. deve svolgere su tutto il territorio nazionale e “l’assistenza diretta” al malato è la principale.
Per assistenza diretta al malato si intendono le cure igienico-domestico-alberghiere.
All’art. 1, comma 3, paragrafo f, del Profilo professionale dell’infermiere (D.M. 739/94) si legge: “per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto”. Ciò significa che l’infermiere “decide” quando avvalersene e considerato che i pazienti necessitano delle suddette cure in ogni momento della giornata è indispensabile che il personale di supporto sia sempre presente affinché l’infermiere, responsabile dell’assistenza generale infermieristica (art. 1, comma 1 succitato), pianifichi e gestisca gli interventi assistenziali (art. 1, comma 3, paragrafo c).
Difatti il Decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1987, n. 567, all’art. 8, paragrafo d, stabilisce che: “Il ricorso al lavoro su turni presuppone la distribuzione del personale nei vari turni, ripartito sulla base delle professionalità che devono essere presenti in ciascun turno, con assoluta preminenza, quindi nell’interesse dell’amministrazione su ogni altro”.
Il Decreto Legislativo 26 novembre 1999, n. 532 “Disposizioni in materia di lavoro notturno, a norma dell’articolo 17, comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n. 25″ art. 11 comma 1 recita: “Durante il lavoro notturno il datore di lavoro assicura un livello di servizi equivalente a quello previsto per il turno diurno”.
Il Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66 “Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro” all’art. 14 comma 2 che: “Durante il lavoro notturno il datore di lavoro garantisce, previa informativa alle rappresentanze sindacali di cui all’articolo 12, un livello di servizi o di mezzi di prevenzione o di protezione adeguato ed equivalente a quello previsto per il turno diurno”.
Ergo, le mansioni assistenziali non competono all’infermiere ma al personale di supporto. Compensare la loro strategica e pianificata assenza significa essere demansionati.
Il ruolo dell’infermiere è coordinare le figure a lui funzionali, gestire e pianificare il piano assistenziale nel suo complesso, attuare i profili terapeutici e di cura decisi dal medico e dai vari specialisti nel rispetto delle linee guida e dei protocolli internazionali.
Il demansionamento è il peggior illecito nel rapporto di lavoro e sono centinaia le sentenze che condannano i datori inadempienti.
“La dequalificazione è violazione contrattuale. Il datore di lavoro è vincolato dal dovere di correttezza e buona fede (limiti al ius variandi) che non gli permette di attribuire mansioni inferiori al dipendente. Tale violazione corrisponde ad un inadempimento contrattuale e quindi è risarcibile quando il lavoratore dimostri che il datore abbia disatteso i predetti canoni”
(Cassazione n. 11291 del 28 agosto 2000).
“Il demansionamento costituisce lesione della dignità del lavoratore tutelata dell’art. 41 della Costituzione e dall’art. 2087 del Codice Civile. Ne consegue il diritto al risarcimento del danno da liquidarsi in via equitativa, anche se non via sia la prova di conseguenze patrimoniali negative”
(Cassazione n. 14443 del 06 novembre 2000).
“Il danno morale e biologico da demansionamento è risarcibile”
(Cassazione SS. UU. n. 6572 del 24 marzo 2006).
Senza dilungarmi oltre vi annuncio che si terrà a Rimini, sabato 28 maggio presso il Centro Congressi SGR, un evento formativo che darà ai partecipanti le conoscenze necessarie per resistere al fenomeno al fine di impedire l’impoverimento professionale e salvaguardare la dignità personale (Relatore: Prof. Mauro Di Fresco).
A breve vi forniremo tutti i dettagli.
Simone Mancuso
Segr. Prov. AADI di Rimini
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