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L’assistenza senza confini: la terapia intensiva aperta

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Nel corso degli ultimi trent’anni la Terapia Intensiva si è fortemente rivoluzionata e per l’équipe sanitaria rappresenta oggi più che mai una prova particolarmente impegnativa in quanto l’assistenza erogata è rivolta a pazienti complessi che richiedono, come definisce la SIAARTI, ”un insieme di strutture che tratta i pazienti critici per insufficienza di uno o più organi” e che si traduce in una maggiore intensità assistenziale e in una formazione specializzata.

Accanto a tali elementi vi sono dei requisiti strutturali indicati da numerose linee guida come l’area quadrata destinata a ciascun letto che deve permettere la collocazione di apparecchiature anche ingombranti e l’accesso del personale in qualsiasi punto del letto, l’illuminazione che deve consentire una precisa valutazione del colorito della cute, la disposizione delle finestre che deve permettere ad ogni paziente cosciente di vedere l’ambiente esterno per evitare eventuali problemi emotivi, un ambiente che assicuri la privacy per l’assistito e i suoi familiari.

La Terapia Intensiva è da sempre un reparto chiuso in cui fino a qualche anno fa la presenza dei familiari era fortemente limitata solo attraverso una vetrata e questa scelta era correlata alla consuetudine che la loro presenza potesse aumentare le infezioni dei pazienti, lo stress e i disturbi del sonno, la violazione della privacy nonchè la dilazione dei tempi di assistenza.

A tal proposito il Comitato nazionale per la bioetica ha invitato all’apertura di tutti i reparti italiani di rianimazione e un notevole numero di studi ha dimostrato che le diffidenze suddette fossero del tutto infondate e che non esistesse una correlazione tra le infezioni e la presenza in reparto dei familiari: ciò ha quindi supportato l’apertura delle rianimazioni ai familiari 24 ore su 24 in molti Stati come la Svezia, il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Francia fino ad oltreoceano gli Usa.

A differenza di questi Paesi l’Italia, sebbene vi siano stati dei cambiamenti, si piazza all’ultimo posto in quanto le visite ai pazienti sono tra le più restrittive seguendo il ”principio della porta girevole”, ovvero nel momento in cui il paziente entra i familiari escono appena dopo la raccolta dei dati; tale preclusione viene attuata attraverso 3 aspetti:

  • chiusura temporale, che consiste in un’ora in media di visita al giorno;
  • chiusura fisica, che consiste nell’obbligo di indossare indumenti protettivi, generalmente costituiti da camice, mascherina e soprascarpe, che riducono il contatto tra il familiare e il paziente, ma in alcuni casi si confina di vedere il proprio familiare soltanto attraverso un monitor;
  • chiusura relazionale, che consiste in una limitazione del numero, di solito un solo familiare per volta, e del tipo dei familiari, cioè solo al familiare di 1° grado.
    Bisogna, però, evidenziare che in alcuni casi particolari come stati vegetativi, casi di osservazione per prelievo d’organo e pazienti pediatrici sia consentito l’ingresso ai familiari 24 ore al giorno.

Alla luce dei limiti riscontrati e delle differenze organizzative tra i vari Stati emerge la grande necessità di continuare il cammino di umanizzazione delle cure: porre al centro il paziente significa non solo porre l’attenzione alle cure stesse ma anche non trascurare i suoi bisogni di appartenenza e di relazione con i suoi familiari in un momento di estremi svantaggio e fragilità.

Ecco che quindi la terapia intensiva aperta appare la soluzione migliore per ottimizzare il processo di cura e l’assistenza attraverso lo sguardo rivolto alla persona in senso olistico e per instaurare un rapporto di fiducia sempre più crescente tra i familiari e l’équipe sanitaria.

Anna Arnone

Sitografia

www.siaarti.it

presidenza.governo.it

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