L’offensiva lanciata nei confronti della professione infermieristica da parte della giornalista Tiziana Panella nella trasmissione televisiva Tagadà (La7) è oramai nota e sta scatenando molte reazioni nel mondo sanitario, in particolare in quello infermieristico.
Diversi sono stati infatti i commenti, gli scritti, i pensieri elargiti dai professionisti colpiti da questo duro, disinformante e disinformato attacco che vorrebbe gli infermieri di pronto soccorso ‘lontani’ dal triage.
Il punto di vista di un collega, però, mi ha colpito particolarmente: quello del Dott. Fabio Fedeli, infermiere presso l’Unità Cardio-Coronarica dell’ Ospedale A. Manzoni ASST di Lecco, che mi ha inviato una interessante riflessione sulla questione… il suo è un pensiero forte, ma che allo stesso tempo non vuole fare troppo rumore… come “una foresta che cresce”.
“Da tempo ho smesso di guardare la televisione. Se non ogni tanto, per seguire qualche TG; o in compagnia di amici.
Quando dico che quello schermo a casa mia non viene acceso, molti mi guardano come se fossi un alieno; ma quando poi sento certe dichiarazioni in alcune trasmissioni… posso dire con certezza che della mia scelta non mi pento. Eppure non sono riuscito a sfuggire a quanto detto durante la trasmissione Tagadà del 18 Marzo.
Diversi articoli raccontano l’accaduto, perciò non mi dilungherò nel narrarlo. Inutile dire che sono stato investito da un sentimento di rabbia sentendo quelle due frasi (‘Non vorrei essere accolta da un infermiere al triage in Pronto Soccorso’…’L’infermiere non studia per questo’). Soprattutto perché non si trattava di chiacchiere da bar, dove uno qualsiasi si improvvisa tuttologo davanti i propri amici (e si sa, siamo tutti molto bravi in questo, io per primo); ma di un salotto televisivo che raggiunge un notevole numero di persone. E allora giù a scrivere email alla redazione di La7, ad unirmi ai colleghi che scrivevano sulla bacheca della giornalista Tiziana Panella, a leggere le repliche date dalla Federazione Nazionale Infermieri e a ‘dormirci male’, vedendo screditata in quel modo la mia professione e la mia formazione.
Eppure qualche giorno dopo, la risposta che volevo è arrivata dalla voce più autorevole che potesse esserci: quella di un mio assistito. Lo prendo in carico solo per qualche ora, il tempo del nursing mattutino perché in giornata verrà trasferito nell’ospedale più vicino a casa sua; ho però il tempo e la fortuna di scambiarci due parole ed è lui stesso a raccontarmi in che modo è finito nella nostra Unità Cardio-Coronarica (niente che non sapessi già dalle consegne, ma ci teneva a raccontarlo e io tenevo ad ascoltarlo): recatosi al Pronto Soccorso dell’ospedale più vicino a casa per un dolore toracico, viene accolto dalla collega di triage; attribuitogli il codice colore viene fatto accedere per eseguire un elettrocardiogramma e mentre l’infermiera sta provvedendo ad eseguire l’esame strumentale, mi dice di aver perso conoscenza.
Eppure sa bene cosa è successo dopo; l’infermiera che lo aveva ‘accolto’ ha iniziato il massaggio cardiaco, perché era sopraggiunta una fibrillazione ventricolare, ha allertato il resto dello staff e tutti si sono prodigati per lui. E nonostante tutti abbiano dato il proprio contributo per stabilizzare le sue condizioni, la frase con cui conclude il suo racconto è la cosa migliore che potessi sentire quel giorno: ‘Adesso che torno, devo andare a cercare quell’infermiera…sai…se non ci fosse stata lei…’. Già, ‘se non ci fosse stata lei…’.
All’arrivo dell’ambulanza che si occuperà del trasporto, fa i complimenti anche a noi che lo abbiamo assistito in questi giorni e ci saluta calorosamente. Spero sia riuscito a trovare la ‘sua infermiera’ per mostrargli la sua gratitudine.
Finisco il mio turno, sono meno indignato: ripenso non solo alle sue parole, ma anche ad alcuni titoli letti sui giornali nei giorni precedenti: ‘Bambina di 18 mesi salvata grazie al progetto Scuole Sicure del collegio IPASVI BAT’ (1 Marzo) ‘Runner in arresto cardiaco soccorso dall’infermiere podista’ (13 Marzo).
Come avrei voluto che in quel momento con me ci fossero quegli opinionisti e quella gente che ha ascoltato le parole dette il 18 Marzo… come vorrei che avessero letto gli articoli dei giorni precedenti; che avessero almeno una volta sbirciato quello che studiamo, il nostro profilo professionale e il nostro codice deontologico: forse si sarebbero ricreduti, forse avrebbero capito che in fondo non è così male essere accolti da un infermiere in Pronto Soccorso.
‘Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce’; nella confusione causata da questo ‘albero’, adesso riesco a godermi il silenzio di una foresta che cresce, quella rappresentata dalla ‘media di 21 milioni di pazienti che accedono in pronto soccorso sono selezionati dal triage infermieristico con competenza e appropriatezza’ ”.
Grazie, caro Fabio.
Alessio Biondino
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