Home Specializzazioni infermieristica legale forense La Ricerca Azione come strategia di intervento per lo sviluppo delle Non Tecnikal Skhills in ambito Infermieristico
infermieristica legale forenseSpecializzazioni

La Ricerca Azione come strategia di intervento per lo sviluppo delle Non Tecnikal Skhills in ambito Infermieristico

Condividi
La Ricerca Azione come strategia di intervento per lo sviluppo delle Non Tecnikal Skhills in ambito Infermieristico
Condividi

Il seguente elaborato si propone di presentare, alcune tecniche di derivazione andragogica e manageriale allo scopo di implementare le competenze non tecniche degli Infermieri, per garantire livelli qualitativi crescenti di servizi forniti all’utente esterno.

Ed intenzionalmente favorire come valore aggiunto, la crescita dei livelli motivazionali degli utenti interni, primi fra tutti ma non solo, gli Infermieri.

L’obiettivo di presentare e aumentare le Non Technical Skills, in ambito socio sanitario, nell’intento del presente lavoro, deve essere perseguito dall’utilizzo di strategie formative di natura andragogica; intese come Scienza della Formazione degli adulti, tramite la messa a punto della Ricerca Azione.

Come vedremo questa strategia permette di costruire competenze non tecniche avanzate, tramite un progetto formativo sul campo, favorendo  un forte collegamento della teoria con la prassi.

Si intende per RA un modo di concepire la ricerca che si pone l’obiettivo non tanto di approfondire determinate conoscenze teoriche, ma di analizzare una pratica relativa ad un campo di esperienza da parte del personale con lo scopo di introdurre, nella pratica stessa, dei cambiamenti migliorativi.

Nell’ambito della formazione degli adulti nel mondo del lavoro, la prospettiva della RA si è rivelata produttiva, in quanto permette ai soggetti in formazione di essere “attori” molto coinvolti del processo formativo, con relativi esiti dell’azione formativa decisamente rilevanti.

 

Le Non Technical Skills (NTS)

Con questo termine si fa riferimento ad “abilità cognitive, comportamentali e interpersonali che non sono specifiche dell’expertise tecnica di una professione,  ma sono ugualmente importanti ai fini della riuscita delle pratiche operative nel massimo della sicurezza”[1] ; le Non-Technical Skills (Abilità Non Tecniche o NTS) sono complementari alle competenze di carattere tecnico ed in grado di contribuire all’attivazione di performance maggiormente efficaci e sicure.

In letteratura vengono individuate sette Non-Technical Skills, che possono essere così riassunte:

  • consapevolezza situazionale: capacità di raccogliere le informazioni e di interpretarle correttamente; questa competenza, caratterizzata inoltre dalla capacità di anticipare i possibili scenari futuri, è un prerequisito indispensabile per la sicurezza in ambienti complessi e dinamici e, non a caso, è indicata come fattore causale in numerosi incidenti, specie nell’aviazione e nell’aeronautica;
  • decision-making: capacità di adeguata definizione dei problemi, di considerare le diverse opzioni e di selezionare ed implementare queste ultime;
  • comunicazione: capacità che comporta l’invio e lo scambio di informazioni chiare e concise, la ricezione di tali informazioni, l’ascolto e l’identificazione di quelle che possono essere le “barriere” del processo comunicativo;
  • teamwork: si caratterizza per la capacità di supportare i collaboratori/colleghi, di risolvere i possibili conflitti, di scambiare informazioni e di coordinare le diverse attività;
  • leadership: fa riferimento ad un ottimale utilizzo dell’autorità, alla pianificazione e definizione delle priorità, alla gestione dei carichi di lavoro e delle risorse;
  • gestione dello stress: capacità di identificare correttamente gli eventuali sintomi dello stress, di riconoscere i suoi effetti e di implementare le più efficaci strategie di coping;
  • capacità di fronteggiare la fatica: in maniera correlata alla competenza precedente, prevede l’identificazione dei sintomi della fatica, il riconoscimento dei sintomi di quest’ultima e l’implementazione di strategie di coping.

La mancanza di competenze non tecniche aumenta quindi la probabilità che si verifichi un errore, il quale a sua volta accresce la probabilità che si generi un evento avverso.

La presenza di buone abilità non tecniche, al contrario, può ridurre di molto tali probabilità e rappresentare un aspetto in grado di rivelarsi cruciale nell’ottimizzazione delle pratiche lavorative e nella prevenzione di incidenti ed infortuni.

Un approccio innovativo alla prevenzione dei rischi e di conseguenza agli incidenti e infortuni sul lavoro dovrebbe fare riferimento all’opportunità di formare i lavoratori relativamente alle competenze non tecniche, competenze che vengono quotidianamente utilizzate e agite troppo spesso inconsapevolmente da ciascuno di noi.

Frequentemente, tali competenze non sono chiaramente esplicitate e vengono trattate tacitamente e di conseguenza tramandate in modo informale da una generazione di lavoratori all’altra.

Nelle organizzazioni moderne, al lavoratore è richiesto sempre più un impegno di tipo cognitivo e decisionale, risulta chiaro che fare affidamento alle proprie esperienze e competenze tecniche non sia sufficiente.

Negli ultimi due decenni l’attenzione nei confronti delle non Technical Skills si sta diffondendo anche in ambito sanitario, ma l’inserimento di questi argomenti nei corsi di formazione istituzionali resta ancora piuttosto sporadica.

In Italia sono svariate le esperienze di eccellenza formativa su questi temi, che hanno consentito lo sviluppo di nuove tassonomie di NTS come: Gestione del compito; Lavoro in gruppo; Consapevolezza della situazione; Assunzione delle decisioni; Leadership; Comunicazione efficace.

L’obiettivo di ogni organizzazione che voglia puntare sulla cultura della sicurezza, e del miglioramento della qualità, dovrebbe essere – tra l’altro – quello di sviluppare programmi di formazione mirati per attività lavorativa in materia di Non technical skills.

Non una formazione puramente teorica, ex cathedra, “subita” in qualche modo, che certo può dare degli spunti su cui riflettere, ma un’esperienza vissuta nel vero senso della parola, che dia la possibilità di “sperimentarsi nel fare esperienza”.

La Ricerca Azione (RA)

La ricerca – azione nasce negli anni quaranta e trova la sua prima teorizzazione nel lavoro dello psicologo tedesco Kurt Lewin (1946) che coniò il termine action research, da cui derivano sia action ricerche, sia l’italiano ricerca – azione.

Le successive teorizzazioni, pur differenziandosi in relazione all’orientamento filosofico di riferimento e alla collocazione geografica, consentono di individuare alcuni elementi comuni che caratterizzano la ricerca – azione rispetto agli altri approcci:

  • la previsione di un rapporto di collaborazione, alleanza e di confronto fra ricercatori e operatori, sia nella fase di definizione del problema, sia nella gestione della concreta attività di ricerca;
  • l’idea che la ricerca non debba essere “neutrale”, ma debba diventare agente di cambiamento e di emancipazione sociale;
  • l’idea che lo scopo dellaricerca – azione, non sia quello di ampliare le conoscenze, ma di risolvere problemi che si presentano nell’ambito di un contesto lavorativo o sociale;
  • l’attenzione al contesto ambientale e alle dinamiche sociali, intese sia come possibili elementi del “problema” che come risorse per il cambiamento;
  • l’attenzione alla dimensione formativa della ricerca;
  • la circolarità (alcuni studiosi parlano di “ricorsività”) fra “teoria” e “pratica”.

La RA, utilizza la soluzione di problemi specifici in ambito organizzativo e formativo, mediante l’analisi e la presa di consapevolezza delle “dinamiche dei gruppi” da parte degli stessi membri appartenenti ad una popolazione oggetto di studio.

Il punto di forza della RA, è quello di costituire un rapporto di collaborazione stretto fra i consulenti e gli operatori, che alcuni definiscono di “parità”, ma che altri preferiscono considerare di “reciprocità” o di “mutua collaborazione”.

Nella ricerca sperimentale classica, infatti, il ruolo del ricercatore è generalmente quello di pianificare, osservare, interpretare e diffondere i dati della ricerca mediante la definizione delle variabili, la scelta della metodologia e degli strumenti e l’elaborazione di “pacchetti formativi” da proporre all’operatore nell’organizzazione.

Questa impostazione può produrre quel rigetto verso la teoria di chi opera sul campo, o quello scollamento fra ricerca e azione che lamentano gli operatori.

J. Dewey (1951), mette in evidenza come l’apprendimento, specie nell’adulto, passi per l’azione e come dunque anche ricercatori ed operatori possano interiorizzare ed applicare consapevolmente i risultati della ricerca solo se hanno contribuito alla costruzione del sapere e, degli strumenti da utilizzare, o, se almeno, sono in grado di ricostruire i processi che li hanno generati.

Nella RA si sostiene che i due ruoli, ricercatore ed operatore, devono assumere il più possibile i connotati della reciprocità: il ricercatore continua sì a mantenere una posizione di spicco, poiché rappresenta colui che propone un piano e un progetto, ma al tempo stesso non costituisce il depositario di un sapere neutro e indiscusso; egli contratta, discute i risultati di questo sapere, contribuendo con gli operatori alla continua ridefinizione dei problemi da indagare, degli obiettivi e delle metodologie della ricerca, allo scopo di migliorare la pratica operativa.

Questo tipo di approccio teorico è da considerare fondamentale per lo sviluppo delle non Technical Skills Infermieristiche, in quanto garantisce il necessario training di base che i professionisti Infermieri necessitano per dotarsi di metodologie di lavoro di gruppo e di ricerca, che solo un lungo percorso di autoformazione potrebbe garantire.

Di seguito vengono illustrate le tappe fondamentali su cui si basa il metodo della RA, e la costituzione dei gruppi di ricerca:

1° formulazione e sviluppo del gruppo

Fondamento della RA è la costituzione di un gruppo che lavori in quanto tale e non come sommatoria algebrica di persone, collaborando e contrattando obiettivi, metodologie, fasi procedurali, criteri di valutazione.

La maturazione del gruppo avviene attraverso le seguenti fasi:

  1. Presentazione del lavoro da parte del ricercatore, in base anche alla richiesta che era stata fatta dagli operatori coinvolti, e all’analisi delle problematiche da essi sollevate (analisi dei fabbisogni formativi, o correzione delle criticità diagnosticate);
  2. Formazione del gruppo che decide di operare in collaborazione – confronto reciproco: questo prevede l’adesione spontanea degli operatori che intendono assumere come proprio il tipo di metodologia della ricerca proposto;
  3. Precisazione delle mete del gruppo che devono essere flessibili, articolate in fasi a breve, medio e lungo termine, realistiche e significative per l’intero gruppo, che altrimenti perderà interesse, motivazione;
  4. Training del gruppo alle metodologie e agli strumenti che si intende utilizzare. In questa fase andranno specificati i compiti e i ruoli di ciascuno, (operatori, ricercatori, esterni) esplicitate le aspettative e le paure, così come andranno considerati soprattutto i possibili attriti esistenti o emergenti nel gruppo e le difficoltà.

2° La ricerca

Quando il gruppo diventerà ansioso di procedere al lavoro di ricerca vera e propria, si susseguiranno:

  1. La definizione del problema, in modo che i bisogni emersi nelle fasi precedenti si trasformino in una formulazione di intervento specifica, anche tenendo conto degli strumenti che si andranno a utilizzare;
  2. La familiarizzazione del gruppo con gli strumenti stessi della ricerca (questionari, osservazione, interviste, EBN, ecc.) in modo che siano di facile somministrazione e analisi, che consentano ai partecipanti di produrre dati specifici, adattandosi al tipo di ricerca da un lato e, ai bisogni espressi dall’altro;
  3. L’analisi dei dati, dunque, comporterà un grosso vantaggio per gli operatori, che impareranno a padroneggiare le tecniche, e per il ricercatore, che dovrà controllare tecnicamente l’uso degli strumenti e, allo stesso tempo, condurre il gruppo senza anticipare le interpretazioni, in modo che sia il gruppo stesso a elaborare le proprie resistenze individuali e collettive, per arrivare infine a una descrizione puntuale dei dati, che permetterà poi un’ulteriore elaborazione;
  4. L’ipotesi d’azione, che suggerisca possibili soluzioni alternative e individui azioni, strumenti e risorse per effettuarle.

3° L’azione

  1. Definire l’azione, dell’intervento in modo dettagliato. Gli obiettivi dovranno essere realistici, raggiungibili, osservabili e controllabili nei risultati;
  2. Sviluppo del piano. Il piano sarà articolato in passaggi logici e temporalmente sequenziali, in modo che ogni passaggio possa essere valutato di per sé, prima di procedere a quello successivo. Andranno esplicitati anche costi, compiti, responsabilità, tempi da rispettare ecc…;
  3. Attuazione del piano. Il coordinatore del progetto accompagnerà il gruppo, in modo che valuti i risultati provenienti dalle azioni previste in ogni fase, e consideri l’opportunità di procedere alla fase successiva. Alla fine si attuerà la valutazione del piano con strumenti quantitativi e/o qualitativi, e si metteranno in luce i risultati positivi e l’opportunità di ripetere l’intervento in altre realtà, o con altri utenti.

Conclusioni

Gli elementi presentati sono fonte di innumerevoli riflessioni, che si possono fare in ambito Infermieristico.

Fondamentale è pensare ad un modo di fare formazione sul campo, che finalmente perda quell’elemento di passività che viene sovente propinato in tutte le salse, agli operatori sanitari.

La consegna agli Infermieri e operatoti del mondo sociale e sanitario di un “valigetta degli attrezzi” piena di strategie di intervento formativo, per la risoluzione di concrete problematiche presenti nelle organizzazioni, è di grande importanza per la crescita qualitativa dei servizi prestati all’utente.

Il mondo del sapere, specie andragogico e manageriale, ci offre molti strumenti per edificare progetti di formazione, che non siano staccati dal mondo lavorativo, coinvolgono i destinatari dell’azione formativa in modo gratificante, non creano quella dicotomia profonda tra teoria e prassi, facciano innamorare della conoscenza i destinatari dell’azione formativa, come può essere l’approccio proposto con la RA.

Tale approccio, non ha ceto la pretesa di essere l’unico utile alla crescita delle competenze infermieristiche non tecniche, ma fa parte di tutta quella serie di strategie di formazione attiva, che credo sia meglio percorribile all’interno delle organizzazioni complesse, come sono quelle socio sanitarie, in cui operano professionisti dell’assistenza infermieristica sempre più propensi a far crescere il proprio bagaglio culturale ed esperienziale.

Questo al fine di assolvere al meglio il loro mandato professionale, deontologico e istituzionale: l’Assistenza Infermieristica.

 

Cosimo Della Pietà

 

Bibliografia

  • A Neglected Species “The Adult Learner, in AIF, Associazione Italiana Formatori, n.0, nov. 1986
  • Agenzia Sanitaria Regionale, Emilia Romagna, “Manuale per gruppi di miglioramento della fondazione Avedis Donabedian” ed. Clueb, Bologna 1998
  • AIF, Associazione Italiana Formatori, “Professione Formazione “ ed. Franco Angeli, Milano 2000
  • Argyris C., Schon D.A., Organizationale Learning. A theory of Action Prospective. Addison Wesley, Reading Mass, 1978
  • Azienda USL Città di Bologna, “Miglioramento e sviluppo della Qualità nell’Azienda Sanitaria,
  • Cunningham,Action Research: Towards a Procedural Model, in Human Relations, n.3, 1976. (si veda, in particolare per gli sviluppi della riflessione di K. Lewin,)
  • Crozienr M., Friedberg E., Attore sociale e sistema, Estas Libri, Milano 1978
  • Fraboni Franco, “Manuale di didattica generale “, Edizioni Laterza & Figli, Bari 1993
  • Alessandrini, “Manuale per l ‘esperto dei processi formativi ” Carocci Editore S.P.A., Roma 2000
  • Bocca, “Pedagogia e Lavoro” tra educazione permanente e professionalità, ed. Franco Angeli, Milano 1992
  • Pontello, “ il management infermieristico” Masson, Milano 1998
  • Sarchielli, F. Novara, “Fondamenti di Psicologia dell’organizzazione ” ed. Il Mulino, Bologna 1996
  • Lewin, I conflitti sociali, Milano, Franco Angeli, 1980 (ed. or. 1946).
  • Maggi B., La formazione: concezioni a confronto, Etas Libri, Milano 1991
  • Maggi B., La formazione: concezioni a confronto, Etas Libri, Milano 1991
  • Marrow A.J., The practical Theorist, La nova Italia, Firenza 1977
  • Prati G., Pietrantoni L., Rea A. (2006). Competenze non tecniche e marcatori comportamentali nelle professioni a rischio. NUOVE TENDENZE DELLA PSICOLOGIA. vol. 3, pp. 353 – 370. E Prati G., Catufi V., Pietrantoni L. (2011). Le competenze non tecniche dei chirurghi: il sistema NOTSS. PSYCHOFENIA. vol. 24, pp. 39 – 63.
  • Quaglino G.P., Carrozzi G.P., Il processo di formazione; Franco Angeli, Milano 1987.
  • Quaglino G.P., Fare formazione, il Mulino, Bolgna, 1985

 

[1] Prati G., Pietrantoni L., Rea A. (2006). Competenze non tecniche e marcatori comportamentali nelle professioni a rischio. NUOVE TENDENZE DELLA PSICOLOGIA. vol. 3, pp. 353 – 370. E Prati G., Catufi V., Pietrantoni L. (2011). Le competenze non tecniche dei chirurghi: il sistema NOTSS. PSYCHOFENIA. vol. 24, pp. 39 – 63.

Condividi

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati
CdL InfermieristicaInfermiere e rischio InfettivoNT NewsSpecializzazioniStudenti

Batteri Gram-positivi e Gram-negativi: le differenze che devi conoscere

Quando si parla di batteri la distinzione tra Gram-positivi e Gram-negativi è una delle più importanti...

Iss: "Restano elevati i tassi di infezioni correlate all'assistenza e resistenza agli antibiotici"
CittadinoInfermiere e rischio InfettivoNT NewsPrevenzioneSpecializzazioni

Infezioni correlate all’assistenza (ICA)

Le Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) rappresentano un problema crescente nel mondo della...