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La nutrizione parenterale: tutto quello che c’è da sapere

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La nutrizione parenterale
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Oggi parliamo di un argomento molto importante per noi infermieri, perché è un qualcosa che riguarda il nostro quotidiano, almeno nella maggior parte delle situazioni.

I pazienti come ben sappiamo non hanno tutti le stesse necessità e/o capacità, di conseguenza noi dovremo sempre adattarci alla loro “autonomia parziale” ricordando che il nostro obiettivo è spingere comunque verso un miglioramento e non verso una dipendenza. Ecco perché la riabilitazione del paziente non riguarda solo la parte fisica ma anche la parte psicologica, non dimenticando mai di rivalutare periodicamente il paziente. Uno dei casi principe di ciò che è stato appena detto è la nutrizione parenterale. Di cosa si tratta? Facciamo innanzitutto un distinguo, 

Esistono due tipologie di nutrizione: enterale e parenterale.

La prima riguarda la normale attidune corporea che prevede che il cibo passi prima dalla bocca, per poi passare nell’esofago, tramite il cardias nello stomaco, tramite il piloro nell’intestino tenue, per poi passare nel crasso e alla fine nell’ano. In questo modo ci sono i movimenti peristaltici che permettono una digestione efficace e tutti gli organi riescono ad effettuare correttamente il proprio compito.

Al contrario, la nutrizione parenterale, è quella che non prevede tutto ciò che abbiamo appena preso in considerazione, ma sfrutta il patrimonio venoso del paziente per potersi alimentare. Questa può essere sia una situazione momentanea (un intervento chirurgico di elezione o di emergenza soprattutto), sia una situazione permanente (per patologie neoplastiche che riguardano l’apparato digerente, per resezioni gastrointestinali, per patologie neurodegenerative…).

Questo identifica non solo che questi pazienti hanno bisogno di una maggiore attenzione (perché potrebbero avere degli squilibri elettrolitici; se si tratta di pazienti diabetici bisogna correggere la soluzione da infondere con le giuste unità internazionali di insulina; perché bisogna cambiare la soluzione entro le 24 ore dall’apertura; perché bisogna fare attenzione ai cateteri con diverse vie scegliendo farmaci che non interagiscono tra loro…), ma anche un’approfondita cura dell’accesso venoso che solitamente sarà un CVP nel caso di alimentazione parenterale provvisoria e sarà un CVC per quella continua.

L’accesso venoso come noi sappiamo, già per sua natura richiede attenzione dal primo momento in cui viene scelto come device, ma nel caso di soluzioni con osmolarità diversa rispetto a quella del torrente ematico, o comunque nel caso di soluzioni molto viscose e quindi non come quelle solitamente utilizzate (farmaci o la semplice soluzione fisiologica…) bisogna anche osservare il sito di venipuntura e fare continui lavaggi soprattutto nel caso di catetere centrale. 

Prima di decidere di somministrare soluzioni parenterali ai pazienti è giusto ricordare che non esiste una soluzione perfetta per ogni paziente.

Come per tutto ciò che riguarda la medicina, anche in questo caso, si parla di soluzioni personalizzate a seconda del metabolismo, dell’indice di massa corporea, dello stato nutrizionale e delle situazioni patologiche presenti.

Una volta effettuato questo passaggio, non sarà per sempre valido per quel determinato paziente, infatti sarà necessario ripetere questi controlli almeno una volta alla settimana, sia durante il periodo di degenza, sia a casa (soprattutto se si ha aiuto sul territorio). 

Negli anni scorsi le soluzioni parenterali venivano create su misura per il paziente sotto cappe a flusso di aria, ad oggi vengono preparate da aziende farmaceutiche apposite. Bisogna tenere sempre a mente che comunque è responsabilità dell’infermiere osservare la sacca di infusione prima della somministrazione, sia sotto il punto di vista del colore, della consistenza, sia sotto il punto di vista dell’integrità dell’infusione. 

La sacca fornisce sia l’energia necessaria tramite zucchero e lipidi, sia aminoacidi. Viene identificato il contenuto della stessa in base ad una dieta endovenosa bilanciata per il paziente. Il tutto contiene anche sali, oligoelementi e vitamine che permettono il sostentamento basale a livello metabolico.

Ecco che ce ne sono di differenti tipologie: 

1. Aminomix con glucosio 12% ed elettroliti riesce a soddisfare il fabbisogno giornaliero aminoacidi, di glucosio, di elettroliti e di liquidi ed è indicato per pazienti con limitata tolleranza al glucosio.

2. Periven consiste in una sacca con tre compartimenti e di una sovrasacca. Periven contiene: soluzione di aminoacidi, soluzione di lipidi, soluzione di glucosio e soluzione di elettroliti. Fornisce anche energia come la precedente tramite zucchero e lipidi. Inoltre in questo specifico caso non si puo’ usare una velocità di infusione casuale. Essa infatti non può superare i 3.7 ml/kg/ h ed è anche consigliato di infondere la sacca singola di Periven entro 12-24 ore. 

3. Olimel rispetto alla Periven prevede una velocità di infusione di massimo 3.2 ml/kg/h. Esso contiene aminoacidi, elettroliti e glucosio. 

In tutti questi tre esempi c’è il rischio che i lipidi presenti nell’infusione possano influire con quelli presenti nel torrente ematico, quindi si consiglia di interrompere l’infusione per almeno 2-3 ore prima di effettuare il prelievo usando il CVC solo se prevede 2 o più vie (per non scegliere quella usata per l’infusione parenterale). Se invece si utilizza un catatere con unica via, allora si cercherà di utilizzare un semplice ago a farfalla per eseguire il prelievo richiesto.

Inoltre, come è stato detto, a seconda del tipo di paziente che abbiamo di fronte e quindi alle comorbidità, si può decidere di scegliere l’una piuttosto che l’altra. Tutto dipende non solo dalle patologie concomitanti, ma anche dall’età, e dal BMI del paziente. Basti pensare infatti che la maggior parte di queste soluzioni sono indicate per bambini con almeno 2 anni di età. 

Come vengono collegate al catetere queste sacche infusionali?

Solitamente queste soluzioni vengono collegate non a semplici deflussori ma a pompe di infusione in cui si inseriscono i diversi dati: quantità di soluzione, tempo di somministrazione e velocità di infusione prevista. Il tutto permette di poter calcolare quanto farmaco deve essere somministrato entro le 24 ore, evitando sovraccarichi cardiocircolatori. Si evitano i deflussori perché non si può dare una costante somministrazione con questi dispositivi, e in questo caso non è possibile perché bisogna quantificare entrate e uscite. 

La nutrizione parenterale è un parametro da tenere sotto controllo, proprio per questo è giusto ricordarlo a tutti i colleghi. Questi ultimi infatti devono sapere che quel determinato paziente si alimenta per via parenterale per controllare con più attenzione alvo,  diuresi, glicemia (tutti i parametri vitali standard) e ovviamente anche eventuali cali dello stato nutrizionale e ponderale.

Dott.ssa Taccogna Federica

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