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La documentazione: sintesi dei profili di responsabilità

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La documentazione: sintesi dei profili di responsabilità 1
Paolo Nespoli in training at GCTC.
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Proponiamo l’abstract di un elaborato composto da Francesco Palladino.

La documentazione: sintesi dei profili di responsabilità
Francesco Palladino

La cartella clinica come quella infermieristica, sono ritenuti ormai strumenti imprescindibili e univoci  ai fini assistenziali e redatti dalla integrazione multidisciplinare dei vari professionisti che vi concorrono. Trattandosi di atto pubblico, la documentazione oltre alla finalità assistenziale che ricopre è anche uno strumento medico-legale dove, in un’ottica di prevenzione degli eventi avversi nonché delle varie forme di responsabilità, risulta fondamentale che l’Infermiere sia del tutto consapevole dell’importanza della corretta compilazione in virtù della deontologia professionale e degli istituti giuridici che disciplinano tale attività.

L’intento di tale pubblicazione, è quello di offrire una panoramica non certo esaustiva ma chiara su alcune discipline legislative in materia di responsabilità con riguardo alla documentazione sanitaria e non solo, ma anche di stimolare la sensibilità del professionista ad una maggiore consapevolezza sul tema della responsabilità professionale che, negli aultimi anni, ha assunto un’importanza crescente nell’ambito sanitario parallelamente al notevole incremento dei contenziosi.

La prima e rudimentale forma di documentazione clinica fu ideata e realizzata da Ippocrate nel 500 a.c. e il pregio di tale invenzione consisteva proprio nella descrizione del decorso della malattia con l’utilizzo di espressioni abbreviate e definizioni standardizzate. Col passare dei secoli ovviamente la documentazione ha subito trasformazioni evolvendosi parallelamente grazie allo stesso avvenire delle professioni sanitarie dove, nel 1992 vennero delineate le connotazioni dal Ministero della Sanità definendola “lo strumento informativo individuale integrato (cartella clinica e infermieristica) finalizzato a rilevare tutte le informazioni anagrafiche e cliniche significative relative ad un paziente e ad un singolo episodio di ricovero”.

Dalla definizione di cartella clinica rilasciata nel 1992 a oggi sono seguiti numerosi cambiamenti legati essenzialmente all’impalcatura normativa e deontologica del tutto evoluta, ampliata e inequivocabile al punto che grazie al D.P.R. 384, 28 novembre 1990 che ha favorito il riconoscimento formale della cartella infermieristica, per anni i due strumenti così come i professionisti dell’assistenza, sono stati considerati  da un’anacronistica forma mentis come due binari ma, come sancito dall’art. 32 Costituzione, oramai non risulta più possibile ne tantomeno tollerabile tale differenziazione come due realtà distinte e separate ma considerarle come un’unica realtà integrata avente un’unica finalità: “la Tutela della Salute della Persona”.

Di fatti, la documentazione clinica integrata di seguito indicata solo come documentazione, rientra da corpus normativo nella fattispecie degli atti pubblici e ciò in ragione del fatto che essa è “esplicazione del potere certificativo della natura pubblica dell’attività sanitaria cui si riferisce”. Trattandosi pertanto di atto pubblico, secondo il combinato disposto artt. 2699-2700 c.c. la documentazione, è uno scritto dovuto ad una persona che in esso si palesa, contenente esposizioni di fatti e dichiarazioni di volontà, ed è un atto pubblico di fede privilegiata contrastabile solo a querela di falso.

Con particolare riferimento all’atto pubblico, risulta necessario anche far luce sull’inquadramento giuridico dei professionisti sanitari dove, secondo le connotazioni delineate dall’art. 357 c.p., si individuano i pubblici ufficiali in coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, caratterizzata dallo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi a differenza degli incaricati di pubblico servizio, individuati attraverso l’art. 358 c.p. i quali svolgono le medesime funzioni senza le peculiarità dei poteri autoritativi e certificativi (infermieri, tecnici, ostetriche, ecc…) che contraddistingue i primi ma, nello specifico, fino al 1999 la cartella o documentazione infermieristica essendo redatta da incaricato di pubblico servizio aveva il riconoscimento di atto pubblico in senso lato e non poteva avere la stessa efficacia probatoria della cartella clinica(intesa come cartella medica) in quanto documento non precostituito a garanzia della pubblica fede e soprattutto non redatto da pubblico ufficiale autorizzato dalla speciale funzione certificatrice.

Questo concetto è stato riconsiderato alla luce della L. 42/1999 messa in correlazione ad una sentenza della Corte di Cassazione, infatti, la stessa Suprema Corte afferma che la connotazione giuridica di un professionista sanitario è da intendersi in senso funzionale ovvero in relazione al contesto in cui opera e all’attività svolta e non semplicemente in relazione al ruolo professionale ricoperto, di conseguenza, anche l’infermiere può essere alternativamente pubblico ufficiale(durante la redazione o compilazione della documentazione sanitaria) o incaricato di pubblico servizio facendo cadere qualsiasi dottrinale distinzione fra le documentazioni redatte da i vari professionisti sanitari.

Al momento del primo accesso in ospedale, il paziente affidandosi interamente al professionista sanitario, affida nello stesso oltre alla responsabilità legata alla propria salute anche un’altra notevole responsabilità  legata al rispetto di valori fondamentali quali il segreto professionale e la tutela della privacy così come disciplinato dal D. Lgs, 196/2003 nonché dal recente regolamento UE 679/2016. A conforto, nel lontano 1997, il Professor Rodotà dichiarava che “la privacy cammina orami sulle sue due gambe: la riservatezza e il controllo. Alla prima fa riferimento il silenzio inteso come rispetto del segreto professionale, all’altra la trasparenza”. Di fatti, non basta rimanere al riparo dalle indiscrezioni altrui, poiché la natura stessa del contesto sanitario in cui viviamo rende quotidiani lo scambio e la cessione di informazioni personali dove il professionista sanitario dovrà necessariamente tutelare il paziente non solo riguardo al suo bisogno di salute, ma anche di riservatezza in applicazione a quegli importanti principi di dignità e libertà imperniati nel nostro ordinamento.

Oltre ai succitati istituti normativi e ad altri di pari importanza che prevedono al momento della creazione del fascicolo sanitario l’inserimento di tutta la documentazione prodotta in circostanza di ricovero (foglio di accettazione o rapporto del pronto soccorso, copia di referti inviati alla autorità giudiziaria, copia di denuncia di malattia infettiva, cedap e scheda ostetrica, attestazione di nascita, cartella infermieristica e scheda di sala operatoria, consenso informato, diaria e prescrizioni effettuate, riscontro diagnostico in caso di decesso, referti di indagini strumentali e di laboratorio, eventuali comunicazioni del giudice di sorveglianza per pazienti-detenuti, referto operatorio, lettera di dimissione, sdo), la compilazione della documentazione è disciplinata dai relativi codici deontologici che ne dettano le regole di condotta, ma anche da altri importanti riferimenti normativi come la Norma ISO9001:2015 che specifica i requisiti necessari per realizzare un sistema di gestione della qualità utile a migliorare l’organizzazione di una azienda produttrice di beni e servizi e porla nelle condizioni di dimostrare all’utente la propria capacità di produrre in modo conforme quanto dichiarato. Inoltre, la loro applicazione, da parte di un’azienda, è su base volontaria e la conformità alle stesse è certificata da un organismo terzo accreditato che procederà  attraverso la verifica documentale (con analisi e validazione del “Piano della Qualità”) e la verifica in campo (con analisi del “Piano dei Controlli” e valutazione dell’efficacia del “Servizio di Controllo”) alla emissione del certificato di conformità e alle successive verifiche di controllo.

Il professionista sanitario, rientrante nella disciplina delle professioni intellettuali, in virtù degli istituti normativi che lo vedono coinvolto nella molteplicità di processi relativi alla propria professione nonché alla documentazione sanitaria, è un professionista che lavora a stretto contatto con rischi di varia natura, dove, secondo gli artt. 2 e 32 della Costituzione e a una importante sentenza della Corte di Cassazione, viene stabilito che gli operatori sanitari sono tutti portatori “ex lege” di una posizione di garanzia con l’obbligo della solidarietà.

In linea generale, l’attribuzione di tale posizione determina un maggior onore di consapevolezza per il titolare, spesso accompagnato da un ampliamento della nozione di prevedibilità degli eventi avversi, in quanto correlata al fatto che l’assuntore della posizione di garanzia, è tenuto a conoscere i propri doveri di impedimento dell’evento dannoso evitando anche di commettere reati di natura penale. Restando nel tema, possiamo ben comprendere che ogni professionista ha il dovere di controllare il proprio contesto eliminando ogni fonte di rischio e proteggere il “bene salute” da ogni forma di pericolo che ne possa minacciare l’integrità in quanto, la posizione di riferimento poggia il suo costrutto anche sull’art. 40 c.p. co. 2 in base al quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.

La condotta, quindi, che viola un comando o un divieto imposto dalla legge assume particolare rilevanza penale, sostanziandosi in un’azione o omissione. La prima si configura in ogni comportamento attivo ed operoso generando i c.d. reati commissivi, mentre l’omissione si configura in comportamenti passivi o inattivi che si evidenziano nella mancanza di azione o reazione sfociando successivamente nei reati omissivi. Tale condotta omissiva, è strettamente legata all’evento per il tramite del nesso di causalità, la quale è stata oggetto di diverse elaborazioni dottrinali, dove la più nota è la c.d. teoria della “conditio sine qua non” (o della equivalenza delle cause), secondo cui è causa dell’evento ogni singola condizione senza il quale l’evento non si sarebbe verificato, suddividendosi poi, in due importanti categorie: reati omissivi propri ed impropri.

Si avrà reato omissivo proprio quando il colpevole omette di compiere l’azione prescritta dalla norma di comando, e viene punito senza che alla sua condotta consegua un evento naturalistico. Per esemplificare, si pensi al reato di omissione di referto(art. 365 c.p. – peraltro documento da riportare obbligatoriamente nella documentazione se previsto)o dell’omissione di soccorso (art. 593 c.p.). Invece, se dalla mancata realizzazione di un’azione che poteva essere legittimamente attesa dal soggetto-garante deriva un evento penalmente rilevante, si parla di reato omissivo improprio, anche detto reato commissivo mediante omissione. Tale condotta acquisisce particolare rilevanza causale solo in riferimento ai professionisti sanitari che rivestono una posizione di garanzia in quanto aventi l’obbligo di evitare il verificarsi del fatto giuridico, in virtù della particolare relazione che li lega al bene giuridico “salute”.

Nel quadro generale della gestione del paziente e in un’ottica di un approccio multidisciplinare, la documentazione rappresenta una fonte di informazione importantissima per qualunque tipo di analisi interna ed esterna contribuendo notevolmente al c.d. handover integrando, in maniera formale e sostanziale, il passaggio o trasferimento di consegne verbali e informazioni cliniche da un setting operativo all’altro implicando per il professionista sanitario non solo un mero trasferimento delle stesse ma anche e soprattutto in termini di accountability la piena responsabilità della totale presa in carico del paziente nonché della corretta tenuta e compilazione della documentazione, pertanto, nel trasferimento del paziente e della documentazione, il setting operativo subentrante (per esempio il blocco operatorio che riceve il paziente dal reparto di degenza), si assumerà l’intera responsabilità riferita al paziente e alla documentazione integrandovi tutti gli scritti prodotti durante il percorso assistenziale stabilito(referto operatorio, check list, scheda anestesiologica, scheda per il conteggio delle garze, e tutto ciò che riguarda la tracciabilità di lavaggio e sterilizzazione dello strumentario e presidi con i relativi codici di lotto generati ad hoc) in quanto prodotti in circostanza di ricovero e a certificazione di quanto dichiarato.

In altri termini, appare ragionevole la strutturazione della documentazione ossequiando criteri ben delineati riferiti ai requisiti sostanziali (chiarezza, veridicità, rintracciabilità, accuratezza, pertinenza, completezza) e ai requisiti formali (intellegibilità della grafia, descrizione epicrisi, precisazione anamnesi, modalità acquisizione consenso, disposizione cronologica rilievi, correzione adeguata di errori materiali), favorendo una più approfondita presa di coscienza da parte degli operatori in ordine alle tematiche correlate alla sicurezza dei processi ponendo particolare riferimento ai reati legati alla condotta, alla comunicazione verbale, al lavoro in team e alla leadership.

Nel lavoro di equipe come in un blocco operatorio inoltre,  fra i tanti criteri di carattere generale cui si può ricorrere, il più importante è il principio di affidamento: ogni componente del gruppo impegnato in un intervento chirurgico, dovrebbe poter confidare sulle capacità e competenze dei collaboratori di adempiere ai compiti affidati in quanto la suddivisione di questi ultimi nell’equipe operatoria, non è codificata per legge ma è riconosciuta nella prassi, fermo restando il principio di responsabilità penale e la posizione di garante di ogni componente e il potere di controllo di chi, come il primo chirurgo operatore, in quel dato momento assume la qualifica di responsabile.

Al termine della procedura chirurgica, dovrà essere altresì allegata tutta la documentazione necessaria comprovando che la stessa procedura sia stata eseguita a regola d’arte evitando di incorrere in responsabilità di tipo penalistico e medico-legale, in quanto, essendo la documentazione un atto pubblico, una sua scorretta o mancata compilazione potrebbe configurare reati di falsità materiale(quando il compilatore è persona diversa da quella a cui competeva, nel caso della cartella contraffatta, o quando contiene modifiche successive alla sua stesura definitiva nel caso della cartella alterata), falsità ideologica o rifiuto di atti d’ufficio. Nei reati di falso, è sufficiente la sola coscienza e volontà dell’alterazione del vero, indipendentemente dallo scopo che l’agente si sia proposto e anche se sia incorso nella falsità per negligenza o imperizia, cagionato da una prassi per rimediare ad un precedente errore.

Affrontando più da vicino le tematiche relative alla gestione della documentazione nel blocco operatorio, fermo restando le identiche responsabilità per tutti gli altri settori, come disciplinato dal D.P.R. 128 del 27.03.1969, gli infermieri hanno si la responsabilità relativa alla corretta compilazione della documentazione ma i coordinatori/capisala hanno la diretta responsabilità nella corretta tenuta della stessa e archiviazione dei registri operatori presso il proprio blocco o la propria unità operativa per la documentazione nel caso della degenza, nonché dell’operato dei proprio collaboratori fino a quando, accertata la regolare tenuta e compilazione da parte del direttore di unità a seguito di dimissione del paziente, questi ne dispone il successivo e definitivo trasferimento presso l’archivio centrale nosocomiale dove, la totale responsabilità ricadrà in capo al direttore sanitario.

Ai fini dell’applicazione di buone pratiche, al dovere per la redazione/compilazione della documentazione dove concorrono tutti i professionisti sanitari in base alle proprie funzioni e ruoli, prendendo come riferimento i requisiti formali e sostanziali la compilazione dovrà essere scrupolosa e priva di correzioni e completamenti tardivi nonché contenere tutti gli elementi per una piena valutazione dell’attività svolta durante l’orario di lavoro, non bisognerà aggiungere annotazioni o informazioni a margine, non cancellare o modificare parole e soprattutto dati personali e sensibili in essa riportati ponendo attenzione nell’annotare tutte le prestazioni diagnostico-assistenziali in modo consequenziale apponendovi data e firma a garanzia della riconducibilità dell’atto compiuto e con una grafia facilmente comprensibile.

Scrivere effettivamente l’atto compiuto specie in caso di “deviazione dai protocolli”, utilizzare simboli, acronimi e abbreviazioni di uso comune e codificati dall’azienda evitando di riportare attività compiuta da altri colleghi o scrivere per gli stessi. Inoltre, riportare ogni fatto o evento del paziente e le sue reazioni, segni, sintomi e sensazioni, tutto ciò che viene rilevato personalmente e senza interpretazioni, dovranno essere riportati fra “virgolette” per significare che si tratta di parole del paziente stesso e sottoscrivere il tutto. Il rifiuto di farmaci o medicinali da parte del paziente, va riportato mettendone in evidenza i motivi. Correggere eventuali errori di trascrizione tracciando una semplice linea consentendo la successiva lettura di quanto cancellato evitando l’utilizzo di qualunque tipo di correttore(bianchetto) o copertura con inchiostro. Riportare fedelmente data e ora consentendo una ricostruzione cronologica degli eventi e sottoscrivere il tutto.

Gaetano Salvemini sosteneva che “la chiarezza nello scrivere e nel parlare è specchio dell’integrità morale”, tant’è vero che, una documentazione compilata o redatta con accuratezza e con terminologia appropriata e conforme ai più consolidati dettati professionali, si conforma al dovere di diligenza di ogni professionista sanitario, precisando inoltre, che l’essenzialità nelle descrizioni non attiene al principio “meno si scrive, meno ci si compromette, meglio è” in quanto la giurisprudenza ha comprovato che una documentazione sanitaria lacunosa e imprecisa  costituisce di per se un inadempimento di una obbligazione, pertanto, ove non si dia traccia che il processo di cura sia stato riportato in modo chiaro e intellegibile, le conseguenze, in caso di contenzioso, favoriranno nella fase istruttoria la tesi sostenuta dal paziente.

A sostegno, secondo la giurisprudenza, nei contenziosi per responsabilità professionale, la carente compilazione o il mancato inserimento nella documentazione di fatti, circostanze o certificati, oltre a configurare a carico del professionista il reato di “omissione di atti d’ufficio”, configura altresì una “presunzione di colpa”; si pensi ad esempio, ad una sentenza del tribunale di Monza dove gli infermieri del blocco operatorio furono ritenuti responsabili per aver omesso nella documentazione la scheda relativa al conteggio delle garze utilizzate per l’intervento chirurgico e, tale omissione rappresentò per l’organo giudicante una condotta negligente e imperita e un’attività “mai espletata”. Ciò che non risulta scritto, non risulta fatto.

Nella valutazione della corretta prestazione sanitaria, restando sempre in tema di responsabilità, il professionista sanitario è altresì tenuto alla compilazione della documentazione maggiormente per due ordini di ragioni indicate dal codice civile, secondo cui, in virtù di una obbligazione contrattuale, il professionista sanitario è tenuto alla compilazione della documentazione la cui violazione, oltre a determinare un inadempimento, costituisce un difetto del dovere di diligenza.

Di fatti, ciò che caratterizza tutte le professioni sanitarie e intellettuali, è che la prestazione dovuta va garantita attraverso una obbligazione di “mezzi o comportamento” pattuito, riferita alla diligenza qualificata e commisurata alla natura dell’attività esercitata. In tal caso, il professionista non è obbligato con il paziente alla sua guarigione, bensì ad un comportamento professionalmente adeguato rivolto sì alla guarigione o, in linea generale, al miglioramento delle sue condizioni di salute; nello specifico, il paziente eventualmente insoddisfatto della prestazione professionale ricevuta, avrà l’onere di dimostrare che il professionista è stato inadempiente.

In altri termini, appare logico che non si potrà addebitare al professionista “la non guarigione” nei limiti delle conoscenze scientifiche e dell’applicazione delle linee guida ma sarà a egli imputabile, solo se tale conseguenza dannosa sia scaturita dalla inosservanza delle regole inerenti il suo settore d’intervento(33). Infine, con riferimento al lavoro d’equipe e alle sue forme di responsabilità, fermo restando la posizione di garanzia di ogni professionista e in riferimento “al principio di affidamento”, resta beninteso che qualsiasi prestazione svolta in circostanza e in tempi che non consentono un controllo effettivo da parte di altri professionisti di cui si possa o meno trovar riscontro nella documentazione, qualora emerga un danno irreparabile che abbia compromesso l’integrità del paziente, il lavoro d’equipe non sarà causa di responsabilità poiché il controllo risulta impossibile, pertanto, l’organo giudicante procederà nel configurare la responsabilità attraverso l’accertamento  del “nesso causale” rispetto all’evento verificatosi con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascun professionista.

Concludendo, possiamo rilevare che all’interno nella maggior parte dei professionisti sanitari del nostro panorama sanitario, vige una sorta di conflitto interiore: il desiderio di non volersi assumere la responsabilità. Tale percezione è spesso associata a una quasi totale mancanza di coscienza di sé e di consapevolezza. Purtroppo, in molti non è ancora matura la consapevolezza del proprio ruolo per uscire dalla gabbia mentale dei condizionamenti ma desiderano ancora che qualcun’altro dia loro le risposte e le soluzioni giuste cercando inoltre, qualcuno su cui scaricare la responsabilità. Ormai, al giorno d’oggi, non è più ammissibile accreditarsi un’elevata professionalità senza responsabilità.

Francesco Palladino

 

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