Prosegue da oltre 3 mesi lo sciopero di 25.000 infermieri della sanità del Kenia che ha gettato in ginocchio il paese. È ormai scoppiata l’emergenza sanitaria dovuta alla carenza del personale
“È ora che vi parliate l’uno con l’altro per far cessare lo sciopero del personale infermieristico nel nostro Paese. I keniani stanno morendo negli ospedali perché non c’è nessuno che li assiste” ha esortato Sua Ecc. Mons. Cornelius Kipng’eno Arap Korir, Vescovo di Eldoret e Presidente della Commissione Episcopale “Giustizia e Pace”, durante l’omelia della messa da lui presieduta in memoria di p. John Kaiser, presso il Maela Refugee Camp di Naivasha.
In Kenya oltre 25.000 infermieri hanno aderito allo sciopero “selvaggio” che si protrae dal 5 giugno.
L’obiettivo è quello di ottenere un aumento di stipendio e alcune indennità lavorative. Chiedono uno stipendio mensile non inferiore a € 208 (25.400 Scellini Kenioti) comprensivo di un’indennità per il rischio clinico di €126 (15.400 Scellini Kenioti).
Reclamano anche un aumento di € 41 (5.000 Scellini Kenioti) ed un indennizzo di responsabilità altrettanto consistente. Richiedono anche il pagamento di una quota annuale di € 410 (50.000 Scellini Kenioti) per acquisto e manutenzione delle divise.
Chiedono anche nuove assunzioni di personale: secondo il Kenya Healthcare Workforce Report, il numero attuale di infermieri sarebbe di 8.3 per 10.000 abitanti. Le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità suggeriscono un numero di 25 infermieri per 10.000 abitanti.
“Siamo arrivati al punto di lasciare la nostra gente morire per il denaro, P. Kaiser non era keniano, ma non avrebbe mai fatto morire la nostra gente. Questo è inumano. Dobbiamo rinnovare i nostri sforzi per servire la gente del Kenya” ha affermato Mons. Korir.
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