E’ quanto ribadito dall’Istituto superiore di Sanità, che ha condotto una metanalisi degli studi pubblicati dal 1999 al 2017, secondo la quale “in base alle evidenze epidemiologiche attuali, l’uso del cellulare non risulta associato all’incidenza di neoplasie nelle aree più esposte alle radiofrequenza durante le chiamate vocali”
La telefonia cellulare (come gli altri sistemi di comunicazione senza fili) si basa sulla trasmissione di segnali attraverso onde elettromagnetiche. La frequenza di queste onde (variabile tra circa 900 e 2200 MHz) rientra nell’intervallo delle cosiddette microonde.
La tecnologia si basa sul cosiddetto riutilizzo delle frequenze: per consentire la conversazione contemporanea di un gran numero di utenti senza interferenze, il territorio viene diviso in celle, ciascuna delle quali è servita da un’antenna fissa detta stazione radio base. Per evitare sovrapposizione di segnali, la potenza di ciascuna radio base non può essere aumentata oltre un limite imposto dalle caratteristiche della rete.
Nella vita quotidiana, quasi tutti sono esposti ai campi elettromagnetici generati sia dai telefonini sia dalle stazioni radio base. Date le distanze, le esposizioni dovute a queste ultime sono in generale bassissime, inferiori di diversi ordini di grandezza ai limiti raccomandati internazionalmente.
Le esposizioni durante l’uso del telefonino sono molto più alte a causa della vicinanza al corpo dell’antenna: l’assorbimento locale di energia elettromagnetica (misurato come potenza assorbita per unità di massa corporea, attraverso il tasso di assorbimento specifico o SAR) è molto superiore (tipicamente da 100 a 1000 volte) a quello che si può avere per effetto di stazioni radio base, anche relativamente vicine.
L’energia elettromagnetica assorbita dai tessuti del corpo umano viene dissipata sotto forma di calore e, in linea di principio, provoca un aumento della temperatura del corpo o di sue parti (nel caso di assorbimenti localizzati come quelli del telefonino).
Gli studi scientifici hanno però dimostrato che anche nei tessuti più esterni, come la pelle e l’orecchio esterno, che sono soggetti al maggiore assorbimento di energia elettromagnetica, l’aumento di temperatura non supera 0,1 – 0,2 °C. Questa variazione è molto inferiore a quelle fisiologiche e quindi non costituisce un rischio sanitario. Ancora più basse sono le variazioni all’interno del cervello. Si possono quindi escludere danni alla salute dovuti ad effetti termici di tipo immediato.
È stata avanzata l’ipotesi che l’esposizione prolungata a campi a microonde possa dare luogo ad effetti a lungo termine ed in particolare allo sviluppo di tumori.
Esposizioni croniche potrebbero verificarsi per la vicinanza di stazioni radio base ad abitazioni, scuole o altri luoghi residenziali, oppure a un uso intenso del telefono cellulare.
Gli eventuali effetti sulla salute dei campi elettromagnetici a microonde, e di quelli propri della telefonia cellulare in particolare, sono stati valutati da diverse commissioni internazionali di esperti.
Nel 2006, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel Promemoria per il pubblico “Campi elettromagnetici e salute pubblica – Stazioni radio base e tecnologie senza fili (wireless)” concludeva che “considerati i livelli di esposizione molto bassi e i dati accumulati fino ad oggi, non c’è nessuna evidenza scientifica che i deboli segnali prodotti dalle stazioni radio base e dalle reti wireless possano provocare effetti nocivi per la salute.”
Considerata sia l’assenza di rischi accertati, sia i livelli di esposizione molto bassi, il giudizio unanime degli organismi internazionali è che le stazioni radio base non costituiscano un rischio per la salute.
Esistono norme internazionali per la protezione dai campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde basate sulla prevenzione degli effetti termici, gli unici scientificamente accertati e ben compresi. In Italia sono stati invece stabiliti per l’esposizione del pubblico limiti più bassi di quelli raccomandati internazionalmente, come misura precauzionale nei confronti di possibili effetti a lungo termine.
Le norme italiane (che riguardano solo gli impianti fissi, cioè le stazioni radio base ma non i telefonini) non hanno comunque rilevanza pratica per le reti di telefonia mobile: nelle aree normalmente accessibili attorno alle stazioni radio base i limiti sono infatti sempre rispettati, e spesso ampiamente.
Ciò è confermato, oltre che da numerosissimi controlli, da una campagna di monitoraggio di grandi dimensioni effettuata dalla Fondazione Ugo Bordoni in collaborazione con le agenzie regionali di protezione dell’ambiente (ARPA).
Studi epidemiologici sono stati condotti per analizzare possibili correlazioni tra l’uso del telefono cellulare e lo sviluppo di tumori nel cervello o altri organi della testa (nervo acustico, ghiandole salivari).
I risultati oggi disponibili, considerati anche alla luce dei dati degli studi di laboratorio, sono nel complesso rassicuranti.
A seguito della conclusione di un grande studio epidemiologico multinazionale coordinato dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), la stessa Agenzia nel 2011 ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde come “possibilmente cancerogeni” (Gruppo 2B), in quanto l’evidenza epidemiologica è stata giudicata “limitata”, cioè un’interpretazione causale delle evidenze è ritenuta credibile, ma non è possibile escludere con ragionevole certezza un ruolo del caso, di distorsioni o di fattori di confondimento. Va comunque tenuto presente che alcuni membri dello stesso Gruppo di Lavoro della IARC che ha effettuato la classificazione hanno ritenuto che l’evidenza epidemiologica fosse “inadeguata” (grado di evidenza inferiore a “limitata”): se questa opinione fosse stata maggioritaria all’interno del Gruppo di Lavoro, i campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde sarebbero stati presumibilmente assegnati al Gruppo 3 dei “non classificabili in relazione alla loro cancerogenicità per l’uomo”.
A seguito della classificazione della IARC, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), di cui la IARC fa parte, si è espressa in favore di ulteriori ricerche giustificate dal crescente utilizzo dei telefoni cellulari e dalla carenza di dati relativi a durate d’uso superiori ai 15 anni. L’OMS non ha invece suggerito revisioni degli attuali standard di protezione fissati a livello internazionale (finalizzati alla prevenzione degli effetti noti, di natura termica, dei campi elettromagnetici a radiofrequenza), né ha suggerito di adottare misure precauzionali di limitazione delle esposizioni connesse all’utilizzo di telefoni cellulari.
Sintesi delle evidenze scientifiche
Il documento (in allegato), curato da un gruppo multidisciplinare di esperti di diverse agenzie italiane, è indirizzato agli operatori del Servizio Sanitario Nazionale e ai tecnici del Sistema Nazionale di Protezione, per essere utilizzato in interventi di aggiornamento professionale. e visive, stazioni radio base, WiFi, telefoni cellulari). I nuovi studi in particolare sottolineano che “gli impianti per telecomunicazione sono aumentati nel tempo ma l’intensità dei segnali trasmessi è diminuita con il passaggio dai sistemi analogici a quelli digitali”.
Soprattutto “gli impianti WiFi hanno basse potenze e cicli di lavoro intermittenti cosicché, nelle case e nelle scuole in cui sono presenti, danno luogo a livelli di radiofrequenza (RF) molto inferiori ai limiti ambientali vigenti. La maggior parte della dose quotidiana di energia a RF deriva dall’uso del cellulare.
L’efficienza della rete condiziona l’esposizione degli utenti perché la potenza di emissione del telefonino durante l’uso è tanto minore quanto migliore è la copertura fornita dalla stazione radio base più vicina. Inoltre, la potenza media per chiamata di un cellulare connesso ad una rete 3G o 4G (UMTS o LTE) è 100-500 volte inferiore a quella di un dispositivo collegato ad una rete 2G (GSM 900-1800 MHz). Ulteriori drastiche riduzioni dell’esposizione si ottengono con l’uso di auricolari o viva-voce”.
Per quanto riguarda le future reti 5G, “le emittenti aumenteranno, ma avranno potenze medie inferiori a quelle degli impianti attuali e la rapida variazione temporale dei segnali dovuta all’irradiazione indirizzabile verso l’utente (beam-forming) comporterà un’ulteriore riduzione dei livelli medi di campo nelle aree circostanti”.
Il documento lascia “un certo grado d’incertezza riguardo alle conseguenze di un uso molto intenso, in particolare dei cellulari della prima e seconda generazione caratterizzati da elevate potenze di emissione. In considerazione dell’assenza di incrementi nell’andamento temporale dei tassi d’incidenza e dei risultati negativi degli studi coorte, anche piccoli incrementi di rischio sembrano poco verosimili, ma non si possono escludere”.
Inoltre “gli studi finora effettuati non hanno potuto analizzare gli effetti a lungo termine dell’uso del cellulare iniziato da bambini e di un’eventuale maggiore vulnerabilità a questi effetti durante l’infanzia. Questi quesiti irrisolti richiedono approfondimenti scientifici mediante studi prospettici di coorte e il continuo monitoraggio dei trend temporali dell’incidenza dei tumori cerebrali. Le indagini di misura dell’esposizione personale a radiofrequenze, finalizzate a valutare la variabilità tra strati di popolazione e il contributo di diverse sorgenti, sono un’altra priorità di ricerca, in particolare per l’Italia. Dal punto di vista delle implicazioni normative, a parere della WHO e di numerosi panel internazionali di esperti, le evidenze scientifiche correnti, sebbene non consentano di escludere completamente la possibilità di effetti a lungo termine dell’esposizione prolungata a bassi livelli di campi a radiofrequenza, non giustificano modifiche sostanziali all’impostazione corrente degli standard internazionali di prevenzione dei rischi per la salute”.
Redazione NurseTimes
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