Proponiamo un contributo del nostro collaboratore Pasquale Fava.
Ormai il mondo di internet è padrone anche della nostra salute, in ogni senso. Chi non ricorre alla ricerca immediata in rete del benché minimo sintomo percepito? Oppure chi non ha mai ricercato informazioni prima di ricorrere al personale medico-infermieristico? In tutto ciò, la presenza di alcuni fattori aggravano la situazione (creando un divario sempre più ampio tra i cittadini e la sanità, dovuto anche a sentimenti di sfiducia nei confronti dei rappresentanti del settore sanitario) e ne permettono la crescita statistica in maniera esponenziale:
- Il processo di digitalizzazione della nostra vita ci induce sempre più a ricercare in rete materiali e metodi per garantire processi di cura sempre più rapidi, ma soprattutto non sicuri e consoni, che possono esporre coloro gli autori di queste pratiche a rischi gravi per la propria salute.
- La presenza, appunto in rete, di molteplici siti-forum-blog e punti di riferimento, le cui fonti di provenienza non sono sempre attendibili che ci discostano lentamente dal ricorso affidabile al personale esperto e preparato.
- La credenza quasi incrollabile da parte della maggior parte delle persone in falsi miti presenti nella vita quotidiana.
Bisogna svolgere prima una differenziazione tra i concetti “bufala” e “falso mito”. Tali concetti fanno riferimento alla falsa informazione. Quest’ultima è una tipologia di informazione menzognera (rientrante nel falso ideologico): non è vero ma che si vuol far passare per vero. Esistono varie tipologie di falso: illusorio, che ha l’aspetto di ciò che non è realmente; infondato, che non ha fondamento nella realtà e che può trarre in inganno od errore; erroneo, che non è quello vero/autentico; fraudolento, falsificato, cioè imitato o alterato intenzionalmente o a scopo disonesto; per ambizione sociale, si falsa per ottenere un risultato che punta al riconoscimento sociale; il piacere di trarre in inganno; odio o invidia; per ideologia, si falsa per affermare un sistema di pensiero a spese di altri sistemi di idee.
Riprendendo le definizioni, invece:
- BUFALA (in inglese hoax) – Si considera tale un’affermazione falsa o inverosimile. Secondo il Vocabolario della Crusca, il termine deriva dall’espressione “menare per il naso come una bufala”, ovvero portare a spasso l’interlocutore, trascinandolo come si fa con i buoi e i bufali per l’anello attaccato al naso. Viene molto più comunemente definita come fake news (a tal proposito rimando a un articolo precedentemente pubblicato su questa rivista (https://www.nursetimes.org/la-notizia-e-fake-allora-mi-piace/47588).
- FALSO MITO – Affermazioni o concezioni ritenute vere e consolidate nella comune definizione sociale, ma che in realtà non lo sono.
Sulla base di questo presupposto, è stato lanciato in rete tempo fa, e attualmente è di pubblico accesso, una pagina internet promossa sul sito dell’Iss (Istituto superiore di sanità) sulle varie tipologie di bufale e falsi miti in circolazione, sviscerate e demolite. Questo si presenta come un tentativo da parte delle principali istituzioni sanitarie di abbattere le sbagliate e divaganti informazioni, che però attirano a sé, giorno dopo giorno, sempre più persone, soprattutto giovani. Ed è proprio a quest’ultima fascia di popolazione che bisogna mirare a sensibilizzare per creare i presupposti di una popolazione coscienziosa e sensibile alla salute individuale e pubblica.
Vi riporto di seguito alcuni dei tanti miti sfatati:
- Una causa al giorno toglie il medico di torno… e risolve i problemi della malasanità
Fare sempre causa a un medico, anche quando il medico ha fatto del suo meglio per curarci, non è la soluzione per risolvere i problemi del nostro Servizio sanitario nazionale. In Italia, secondo le stime del ministero della Salute (in collaborazione con l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici), i casi per cui alla cura di un paziente segue una controversia, ogni anno, sono circa 35.000. Le denunce contro medici e sanitari sono triplicate negli ultimi 15 anni arrivando a 33.682 nel 2010 con un trend crescente fino ad oggi (intorno ai 40.000).
È interessante, poi, notare come il 98,8% dei casi con denuncia per lesione colposa e il 99,1% per omicidio colposo siano stati archiviati. Tutto ciò, inoltre, ha portato allo sviluppo di quella che è comunemente chiamata medicina difensiva causa essa stessa di malasanità.
Con il termine medicina difensiva si indica l’insieme delle pratiche condotte, oltre che per assicurare la salute del paziente, per garantire le responsabilità medico-legali seguenti alle cure mediche prestate. La cosiddetta “malasanità” è un fenomeno molto complesso e per arginarlo, oltre a seguire protocolli e buonsenso, perseguendo sempre il benessere dei pazienti, bisogna combattere corruzione, inappropriatezza delle cure e medicina difensiva, creando un clima di maggiore serenità per permettere a tutti gli operatori sanitari di lavorare al meglio.
Stime del 2014, fornite dall’Istituto per la promozione dell’etica in sanità, indicano che gli sprechi attribuibili alla medicina difensiva variano tra i 10-13 miliardi di euro all’anno; spesa che, se recuperata, permetterebbe di migliorare ulteriormente il nostro sistema sanitario, dando serenità ai professionisti della salute e, di conseguenza, ai pazienti.
- Gli immigrati occupano i nostri posti letto negli ospedali e sfruttano i nostri servizi sanitari
Recenti valutazioni economiche dimostrano che gli stranieri residenti in Italia si ricoverano di meno e consumano, in rapporto ai cittadini italiani, risorse molto minori. Coloro che provengono da Paesi più poveri e a forte pressione migratoria usufruiscono in minor modo dei servizi sanitari rispetto agli italiani e, comunque, rispetto a chi, residente in Italia, proviene da Paesi ad alto reddito.
A livello nazionale il rapporto tra numero di ricoveri per eventi acuti su 1.000 residenti è pari a 123 per gli italiani e a 102 per gli stranieri. Se si considerano i ricoveri avvenuti durante la convalescenza, e non durante la fase acuta delle malattie, il dato riferito agli italiani è quasi il doppio rispetto a quello osservato tra gli stranieri (6,7 contro il 3,5 per 1.000 residenti). Poiché si tratta di una popolazione in media più giovane, gli stranieri residenti si ricoverano principalmente per patologie acute ed emergenze, traumi, complicazioni e interruzioni della gravidanza e per complicazioni del parto e del puerperio.
Spesso si tratta di malattie più semplici da gestire che necessitano di minori spese per esami diagnostici, trattamenti e personale impiegato. Gli italiani, invece, in media molto più anziani, si ricoverano di più per patologie croniche che richiedono degenze più lunghe, complesse e generalmente più dispendiose. È stato, infine, calcolato che la spesa media per ricovero per casi acuti degli stranieri, residenti e non residenti, risulta inferiore a quella degli italiani, rispettivamente, del 24% e del 6%.
- Internet, i Social Network e i miei amici sono le migliori fonti di informazione sulla salute
Il consiglio migliore su un problema di salute, su una terapia o su un intervento chirurgico, può darlo chi è esperto del settore, quindi il medico curante o un medico specialista. Internet e i social network, per molti aspetti rappresentano degli utilissimi strumenti di comunicazione, ma in tema di salute possono diventare fuorvianti. Ci portano a credere che, per risolvere i problemi di salute, non sia più necessario affidarsi al consiglio di un medico, ma sia sufficiente ed esaustivo valutare le “recensioni” presenti nel Web.
Nel nostro Paese, più di 3 adolescenti su 4 cercano in rete notizie sulla propria salute. Purtroppo, però, non tutti i portali dedicati al tema “salute” offrono consigli medico-sanitari basati su fonti affidabili e disinteressate. Secondo uno studio italiano del 2013, le donne, ad esempio, che cercano su internet informazioni su come mantenersi in salute prima e durante la gravidanza, hanno un’alta probabilità di trovare siti internet o blog che danno informazioni non corrette o non aggiornate, che si discostano dalle Linee Guida nazionali ed internazionali vigenti.
Risulta, pertanto, fondamentale affidarsi al proprio medico curante per ottenere tutte le informazioni riguardanti la salute, anche perché solo la competenza di un professionista è in grado di fornire caso per caso le risposte adeguate a ciascun paziente. Il parere medico è fondamentale anche per verificare che le informazioni medico-sanitarie recepite tramite ricerca su internet siano allineate alle più recenti Linee Guida e provengano da fonti affidabili e trasparenti. A tal proposito, è sempre meglio diffidare dalle informazioni in cui viene a mancare qualsiasi fonte scientifica.
- Più vaccini contemporaneamente fanno male?
La somministrazione di vaccini in una sola iniezione viene suggerita al fine di ridurre gli appuntamenti per le sedute vaccinali, lo stress per i bambini e i genitori, il tempo impiegato e quindi le ore perse a lavoro e le possibili reazioni. Da parte delle famiglie è necessario superare i timori di ricevere più vaccini nella stessa seduta. Diversi studi hanno mostrato come la somministrazione contemporanea di questi preparati non modifica né l’efficacia né la sicurezza degli stessi, non aumenta il rischio di effetti collaterali né tantomeno danneggia il sistema immunitario del bambino.
Ogni bambino sano ha la capacità di rispondere a 5.000-10.000 stimoli contemporaneamente, quindi il numero di antigeni che vengono somministrati con i vaccini impegnano una frazione irrisoria del suo sistema immunitario. Piuttosto raramente si può assistere a un aumento delle reazioni nella sede di somministrazione (gonfiore, arrossamento, dolore) oppure il bambino può presentare alterazioni febbrili, ma in generale sono tutti eventi passeggeri e di modesta entità.
Volendo fare un esempio, somministrare separatamente ogni componente del vaccino esavalente (contenente gli antigeni di difterite, tetano, pertosse, poliomielite, haemophilus b, epatite B) significherebbe effettuare sei singoli accessi al presidio vaccinale e, conseguentemente, sei singole iniezioni al bambino. Il rischio è che, in base alle proprie esigenze sociali o lavorative, si rimandino o addirittura si dimentichino alcune sedute ignorando il calendario vaccinale che stabilisce i tempi delle somministrazioni.
- Il Papilloma virus infetta solo le donne?
Attualmente si stima che fino al 65-70% dei maschi contrae un’infezione da papilloma virus durante la vita. Nelle donne il picco di infezioni si ha verso i 20-25 anni, mentre negli uomini non c’è un’età maggiormente colpita. Molti ragazzi pensano che l’infezione da papilloma virus (HPV) non li riguardi e che sia un problema solo delle loro coetanee. Non è così!
Questo falso mito è stato alimentato dal fatto che in molti paesi l’attenzione si è focalizzata sulla popolazione femminile in quanto l’HPV causa il tumore della cervice uterina; ma l’HPV causa anche i condilomi ano-genitali, i tumori ano-genitali e i tumori della testa-collo, sia negli uomini che nelle donne, trasmettendosi generalmente attraverso rapporti sessuali non protetti. In Italia, uno dei sistemi di sorveglianza sentinella dell’Istituto superiore di sanità per le infezioni sessualmente trasmesse mostra la grande diffusione di condilomi ano-genitali nei maschi, soprattutto tra i giovani con meno di 25 anni, con un aumento preoccupante negli ultimi anni (il numero di casi è duplicato tra il 2004 e il 2015).
Negli uomini i condilomi ano-genitali sono la manifestazione più frequente dell’infezione da HPV; tuttavia, anche se più rari, l’80-95% dei tumori anali, almeno il 50% dei tumori del pene e il 45-90% dei tumori della testa e del collo, nell’uomo sono associati all’HPV. Spesso le persone con un’infezione da HPV non mostrano sintomi particolari ma possono trasmettere il virus HPV al proprio partner. Per questo è indispensabile proteggersi attraverso l’uso del preservativo nei rapporti sessuali con un partner che non abbia fatto il test per HPV. Nel nostro paese l’offerta pubblica gratuita della vaccinazione contro l’HPV è rivolta sia alle femmine che ai maschi di 12 anni.
- Soffri di acne? Curala con dentifricio o bicarbonato!
L’uso del dentifricio o del bicarbonato sui brufoli non porta ad alcun beneficio nella cura dell’acne. Applicare una piccola quantità di dentifricio sui brufoli da trattare illudendosi di seccarli, di eliminare impurità e sperando di raggiungere concreti benefici, è del tutto errato, nonché dannoso. Oltre, infatti, a non migliorare la situazione, l’utilizzo del dentifricio, specialmente se prolungato, potrebbe ulteriormente danneggiare la pelle già irritata dall’acne.
L’illusione di un miglioramento nasce forse dalla sensazione di leggero bruciore dovuta all’applicazione del dentifricio sulla pelle, che potrebbe far pensare ad una sua azione curativa sul brufolo. Nulla di tutto questo! Il dentifricio e la sua composizione chimica nascono per cercare di raggiungere utili risultati solo nel campo dell’igiene orale e non certo per essere utilizzati in altri settori come la cura dell’acne. Inoltre, la composizione del dentifricio potrebbe al contrario contenere sostanze non solo non curative, ma addirittura irritanti per la pelle con conseguente peggioramento della situazione.
Anche il bicarbonato viene spesso erroneamente scelto, in quanto prodotto economico e semplice da usare, come terapia “casalinga” e naturale per curare l’acne. La convinzione che asciughi i brufoli, riduca il sebo in eccesso, abbia proprietà antinfiammatorie e antisettiche in realtà non è scientificamente provata, anzi a volte il suo utilizzo può aumentare il rossore e l’irritazione della pelle. È dunque consigliabile e opportuno non curare l’acne con rimedi “fai da te”, ma con terapie appropriate, prodotti specifici e possibilmente sotto controllo medico.
Questa e molte altre tematiche sono trattate sulla pagina indicata. Vi consiglio vivamente di accedervi per sfatare conoscenze che infondate. Dopotutto, si può sempre imparare qualcosa nella nostra esistenza.
“La scienza è ricerca della verità. Ma la verità non è verità certa.” (Karl Popper)
Pasquale Fava
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