Il Collegio IPASVI di Firenze promuove un corso di formazione, rivolto agli iscritti, per riflettere sul rischio clinico e sulla qualità dell’assistenza
«La gestione del rischio clinico può essere letta come la faccia pragmatica della qualità dell’assistenza».
Così Francesco Venneri, clinical risk manager della Usl Toscana Centro, spiega perché, nel 2000, sia stata “importata” in Italia, dagli Stati Uniti dove fin dagli anni ‘70 è riconosciuta, la figura del risk manager. Nelle organizzazioni sanitarie è un professionista che ha il compito di analizzare, attraverso metodi e strumenti ad hoc, ciò che andato male nella presa in carico di un paziente, negli aspetti clinici ed assistenziali nonché formativi ed organizzativi. Dunque esamina errori ed eventi avversi, ma non solo.
«Strumenti come l’audit clinico e le morbidity and mortality review, le rassegne di casi clinici – precisa Venneri – permettono di analizzare i punti di forza e di debolezza di un percorso clinico assistenziale. La figura del risk manager (di qualsiasi ambito sanitario esso sia) è colui che promuove questi metodi e questi strumenti».
Nel 2005 la Toscana è stata l’unica regione a strutturare un proprio modello definito e primo vero centro regionale di riferimento (di cui fanno parte medici ed infermieri, ma anche ergonomi, esperti di comunicazione, psicologi e sociologi dell’organizzazione). Figure che hanno a che fare con il mondo sanitario in termini organizzativi e gestionali e che sono punti di riferimento e di supporto per il professionista che deve leggere in maniera acritica l’evento avverso.
«Il clinical risk manager – spiega ancora Venneri – è un professionista che lavora in ambito sanitario con una formazione di base, strutturata, riconosciuta e validata sul campo in discipline come l’ergonomia, l’ingegneristica organizzativa, l’analisi di processo. È il tramite tra gli organi direzionali e la prima linea e promuove la cultura dell’analisi dei rischi nell’organizzazione sanitaria, non per cercare un colpevole ma per imparare dalle criticità».
In un evento avverso, dunque, il risk manager deve assicurare che vengano implementate azioni di miglioramento all’interno dell’organizzazione sanitaria affinché quell’evento non si ripeta più, soprattutto con le stesse modalità. E deve far avvicinare il cittadino alla logica delle cure perché il paziente diventi un alleato.
Per raggiungere questi obiettivi la Toscana ha proposto due linee di indirizzo: la linea clinica (con un infermiere o un medico che sono in prima linea in un’area specifica: chirurgica, emergenza/urgenza) per promuovere gli audit clinici, gli incontri di m&m, l’analisi degli eventi avversi e la cura del sistema di incident reporting (segnalazione spontanea) degli stessi.
L’altra linea è quella manageriale, con il patient safety manager che promuove la pratica della sicurezza, evidenziando agli organi direzionali quelle che sono le criticità nell’applicazione delle buone pratiche e nella gestione degli eventi critici.
Se il clinical risk manager promuove le azioni di sicurezza sul campo, il patient safety manager monitora, implementa e controlla che le pratiche di sicurezza siano realmente applicate.
Dal 2012 queste due figure (talvolta i ruoli sono coincidenti) sono presenti nel 90 per cento delle strutture sanitarie del sistema pubblico.
«La strutturazione del rischio clinico nelle organizzazioni sanitarie – puntualizza Venneri – prevede che il risk manager si contorni di un gruppo di lavoro rappresentativo delle aree di specializzazione medica, infermieristica e tecnica che possiede l’organizzazione stessa. Il gruppo concorda il piano aziendale della gestione del rischio sulla base degli obiettivi regionali di implementazione dei livelli di sicurezza e di quelli specifici dell’azienda, stabiliti anche sulla base degli eventi clinici che una realtà sanitaria ha avuto».
Figure fondamentali della rete del rischio clinico sono poi i facilitatori: professionisti sanitari (medici ed infermieri) o amministrativi, che attraverso una formazione avanzata e l’iscrizione all’elenco dei facilitatori formati, si occupano della gestione del rischio nella propria realtà operativa. Sono, di fatto, la proiezione del risk manager nella struttura.
Perché il risk manager possa applicare una politica di governo clinico migliorativo deve, infatti, essere a conoscenza degli eventi, attraverso un sistema strutturato dentro l’organizzazione sanitaria. Come l’incident reporting, un sistema di segnalazione spontanea e volontaria da parte degli operatori sanitari.
«Bisogna cambiare la cultura in sanità, ma per farlo bisogna iniziare “da piccini”, cioè fin dai corsi di laurea – precisa Venneri – insegnando gli elementi base della cultura del rischio agli studenti. O attivando percorsi strutturati, come quello organizzato dal Collegio IPASVI di Firenze, che ad ottobre proporrà un corso sugli strumenti di governo clinico agli iscritti».
Il corso, centrato sulla qualità e sulla sicurezza delle cure, è strutturato in moduli formativi con esperti del settore, a cui si aggiunge un modulo interattivo con la simulazione dell’analisi di eventi critici come ad esempio la gestione di un audit clinico.
«È un’iniziativa encomiabile – conclude Venneri – perché implementa e valorizza gli aspetti relazionali della professione sanitaria. Il corso del Collegio IPASVI di Firenze, promosso grazie alla sensibilità dei membri del consiglio direttivo, è un segnale per le organizzazioni sanitarie. Per la prima volta, infatti, una rappresentanza politica e professionale della categoria promuove iniziative per valorizzare la via pragmatica della qualità attraverso il risk management. Non è un caso perché gli infermieri hanno sempre avuto una sensibilità marcata verso i problemi del rischio clinico e della qualità dell’assistenza».
Fonte: Ufficio Stampa IPASVI Firenze
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