La relativa ricerca è stata presentata al convegno “Natalità e denatalità: fotografie di sviluppo del Paese”, organizzato da Federsanità Anci Veneto.
Quando si parla di PFAS (sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate) la maggioranza della popolazione pensa che sia un problema connesso alle aree del Veneto. In realtà l’inquinamento è diffuso quasi ovunque, a causa dell’esteso utilizzo di queste sostanze in prodotti di uso quotidiano. Tanto che si stimano oltre 2mila aree in Europa in cui la loro concentrazione è considerata pericolosa per la salute, con costi sanitari fra i 52 e gli 84 miliardi di euro l’anno.
Tra i principali effetti sulla salute derivanti dall’esposizione ai PFAS, la riduzione della fertilità è certamente uno degli aspetti più investigati a livello internazionale. Già in uno studio del 2019 il professor Carlo Foresta (foto) aveva riportato segnali di alterazione dei parametri seminali in giovani diciottenni esposti a elevato inquinamento da PFAS.
Più recentemente il gruppo del professor Foresta, in collaborazione con i dottori Andrea Di Nisio e Luca De Toni, dell’Uoc di Andrologia e medicina della riproduzione dell’Azienda Università di Padova (diretta dal professor Alberto Ferlin), ha riportato la presenza di PFAS sulla membrana cellulare degli spermatozoi, con conseguente compromissione della loro capacità fecondante.
Tuttavia, se da un lato la fecondazione naturale prevede che lo spermatozoo si spogli della membrana al momento della penetrazione nell’ovocita, prevenendone l’eventuale tossicità, questo non avviene nella fertilizzazione in vitro, esponendo la cellula uovo agli effetti di queste sostanze. “Questi dati sono veramente inquietanti – spiega Foresta –, poiché ad oggi non è noto quali possano essere le conseguenze dell’interazione tra PFAS e lo sviluppo embrionale”.
Recentemente è stato ipotizzato l’utilizzo di sostanze in grado di rimuovere i PFAS dalle membrane delle cellule, come ad esempio le ciclodestrine, ossia oligosaccaridi ciclici naturali tipicamente utilizzati come eccipienti naturali per veicolare principi attivi nell’organismo. La loro trascurabile tossicità le porta ad un largo impiego nell’industria cosmetica, farmaceutica e alimentare.
Le ciclodestrine, però, non solo possono essere usate come vettori per il trasporto di sostanze nell’organismo, ma anche come agenti sequestranti. Grazie a queste caratteristiche le ciclodestrine sono state studiate anche per la detossificazione naturale di sostanze inquinanti, tra cui anche i PFAS, dimostrandosi efficaci già nella bonifica delle acque e in studi su modelli animali esposti a PFAS.
Al convegno “Natalità e denatalità: fotografie di sviluppo del Paese”, che si è tenuto il 9 marzo all’auditorium San Gaetano di via Altinate, a Padova, il professor Foresta ha presentato nuovi dati sperimentali che dimostrano come le ciclodestrine riescano, in vitro, a rimuovere quasi completamente i PFAS dalle membrane di spermatozoi inquinati da queste sostanze: “Questi risultati aprono nuovi scenari di applicazione clinica nell’ambito delle tecniche di fecondazione assistita, soprattutto per le popolazioni residenti nelle aree esposte a elevato inquinamento da PFAS”.
Redazione Nurse Times
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