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Iniezioni intravitreali: il trasferimento di competenze dal medico all’infermiere può rappresentare un rischio per il paziente?

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Iniezioni intravitreali: il trasferimento di competenze dal medico all’infermiere può rappresentare un rischio per il paziente?
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Il trasferimento di competenze in materia di iniezioni intravitreali dal medico all’infermiere può permettere di ottenere lo stesso outcome senza esporre il paziente ad alcun rischio?

Questo è il quesito che si sono posti gli autori e ricercatori Bolme, Morken, Follestad, Sorensen e Austeng appartenenti rispettivamente al Department of Ophthalmology, St. Olavs Hospital, Trondheim University Hospital, Trondheim, al Department of Neuromedicine and Movement Science, Norwegian University of Science and Technology, Trondheim, al Department of Public Health and Nursing, Norwegian University of Science and Technology (Trondheim), Department of Ophthalmology, Zealand University Hospital (Roskilde) e della Faculty of Health and Medical Sciences, University of Copenhagen.

Un campione composto da pazienti affetti da degenerazione maculare legata all’età (DMLE), occlusione delle vene retiniche e edema maculate diabetico sottoposti a terapia intravitreale e assistiti presso un dipartimento di oftalmologia norvegese nel periodo compreso tra il mese di marzo 2015 ed il mese di maggio 2017 è stato analizzato.

I pazienti sono stati randomizzati tra il gruppo nel quale era presente il medico specialista e quello nel quale era presente l’infermiere per la somministrazione intravitreale del fattore di crescita dell’endotelio vascolare, o VEGF (dall’inglese Vascular Endothelial Growth Factor), una molecola che promuove la crescita dei vasi sanguigni e ne fa aumentare la permeabilità.

L’outcome primario analizzato è stato il miglioramento dell’acuità visiva, ovvero la capacità dell’occhio di risolvere e percepire dettagli fini di un oggetto rispetto al baseline e nell’anno di follow up.

Le differenze medie negli outcome primari ottenuti tra i due gruppi sono state analizzate attraverso un test di equivalenza e non-inferiorità con un margine di tre lettere in disfavore del gruppo al quale la somministrazione è stata fatta dagli infermieri. In quest’ultimo gruppo sono emersi eventi avversi.

Complessivamente hanno partecipato allo studio 342 pazienti e 259 di loro hanno portato a termine il follow up di 12 mesi, venendo così inclusi nel campione per l’analisi degli outcome primari.

Le iniezioni intraoculari effettuate dagli infermieri non sono risultate essere significativamente meno efficaci di quelle effettuate dal medico con un miglioramento di 0,7 lettere contro 1,6 lettere guadagnate dai pazienti presenti nell’altro gruppo (95% CI of the mean difference, -2.9 to 1.0; p = 0.019, one-sided t-test).

In totale sono stati somministrati farmaci a 2.077 persone; tre reazioni avverse sono state registrate.

In conclusione, le competenze specialistiche relative alla somministrazione intraoculare di farmaci possono essere trasferite dal medico all’infermiere senza un’aumentato rischio per la funzionalità visiva dei pazienti. Questo trasferimento di attività può alleggerire il fardello riguardante la somministrazione di terapia farmacologica nei reparti di oftalmologia.

Simone Gussoni

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