Come era prevedibile, il provvedimento del CdM non manca di suscitare perplessità. Lo conferma il seguente comunicato stampa, che riceviamo e pubblichiamo.
Ci lascia alquanto perplessi il comunicato stampa del Consiglio dei ministri n. 68 del 18 marzo 2022, con il quale si annuncia la “Deroga temporanea alla disciplina del riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie per i medici e gli infermieri ucraini”. Fino al 4 marzo 2023, da parte del nostro Governo e del nostro ministero della Salute, viene, leggiamo testualmente, “consentito l’esercizio temporaneo delle qualifiche professionali sanitarie e della qualifica di operatore socio-sanitario ai professionisti cittadini ucraini residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022, che intendono esercitare nel nostro territorio nazionale – presso strutture sanitarie osociosanitarie pubbliche o private italiane – una professione sanitaria o la professione di operatore socio-sanitario in base a una qualifica professionale conseguita all’estero e regolata da specifiche direttive dell’Unione europea”.
“In poche parole – commenta Antonio De Palma (foto), presidente nazionale del sindacato Nursing Up – siamo di fronte a una situazione paradossale, non certo una novità nel nostro singolare sistema sanitario.
Infermieri e medici ucraini che scappano dal drammatico territorio della guerra potranno esercitare la loro professione nel nostro Paese per la durata di ben 12 mesi, senza bisogno di nessuna integrazione di idoneità dei propri requisiti, come dovrebbe avvenire per legge per professionisti della sanità appartenenti a Paesi che non rientrano nell’Unione europea”.
Prosegue De Palma: “Ma vi è di più, perché il provvedimento prevederebbe addirittura una deroga rispetto al previsto e preliminare accertamento della conoscenza della lingua italiana da parte degli Ordini professionali. Come se in ospedale fosse possibile curare o assistere i pazienti senza avere la possibilità di comunicare con loroDa non dimenticare, inoltre, che stiamo parlando di persone con diversi alfabeti e con un sistema di scrittura che nulla ha a che vedere con il nostro. Insomma, lo sa un infermiere ucraino qual è il nome commerciale italiano dei farmaci oggetto delle sue conoscenze ed esperienze pratiche quotidiane in Ucraina? E’ in grado di distinguerne gli effetti? Conosce le tante leggi speciali che in Italia regolano l’esercizio della professione, anche per i riflessi che hanno sui relativi ambiti di funzione e di responsabilità? Saprà, una volta ammesso alla pratica assistenziale quotidiana, fino a che punto agire in autonomia e quando fermarsi? Oppure, ancora più semplicemente, in quale modo, nel bel mezzo di un intervento operatorio, il chirurgo potrà chiedere la strumentazione necessaria alla sua assistente, cioè l’infermiera strumentista, se questa è completamente ignara della lingua italiana?”.
Sempre il presidente Nursing Up: “Insomma, i nostri dubbi sorgono spontanei nel leggere il provvedimento che circola nelle ultime ore. Ma non è solo questo che ci porta a chiedere doverosi chiarimenti. Pur sottolineando il pieno rispetto delle condizioni umane di uominie e donne che, nel fuggire dagli orrori della guerra, meritano di essere accolti nelle nostre nazioni nel migliore dei modi, e soprattutto senza nulla voler togliere alla loro preparazione professionale, è necessario affrontare anche il discorso spinoso della sicurezza sanitaria. Il comunicato non specifica se i sanitari ucraini saranno debitamente vaccinati prima di lavorare all’interno delle nostre strutture ospedaliere. Ricordiamo che in Ucraina oltre metà della popolazione è in netto ritardo con le somministrazioni. Inoltre, se anche gli operatori sanitari ucraini fossero vaccinati, immaginiamo che non risulteranno essere stati immunizzati mediante uno dei vaccini riconosciuti in Italia (Pfizer, Moderna, eccetera). Ergo, si porrebbe il problema dell’efficacia e della validità di una vaccinazione fatta con prodotti differenti. Le aziende sanitarie che dovranno assumere questo personale straniero, alle condizioni sopra indicate, si troveranno perciò ad affrontare anche questo tipo di problematica”.
E ancora: “Veniamo poi alla più volte citata deroga sulla necessità di verificare l’idoneità del titolo di studio, quindi lasciando che questi professionisti, che nella maggior parte dei casi non conoscono la nostra lingua e che potrebbero non possedere il nostro medesimo percorso professionale, si occupino da subito dei nostri malati all’interno delle strutture pubbliche, e dei nostri anziani e soggetti fragili in quelle private. Quanti di noi affiderebbero un proprio congiunto a un professionista nsanitario che arriva nel nostro Paese con possibili lacune linguistiche, che potrebbero non consentirgli di comunicare? Ora, senza nulla togliere alla competenza dei sanitari ucraini, è davvero indispensabile inserire nei nostri ospedali dei professionisti sanitari senza compararne i relativi percorsi di abilitazione professionale, al fine di verificarne l’idoneità sotto il profilo della presenza di requisiti minimi necessari all’esercizio nel nostro Paese ? Salvo prova contraria, questo vorrebbe dire mettere a lavorare, finanche nelle sale operatorie, medici e infermieri di cui non si sa nulla, che non parlano italiano e che non possono interloquire adeguatamente con i malati e tanto meno con gli altri colleghi”.
Conclude De Palma: ” In definitiva, sosteniamo senza indugio il pieno appoggio ai professionisti sanitari ucraini, che siamo pronti ad accogliere e a sostenere nel migliore dei modi, soprattutto di fronte all’immenso dolore del quale sono latori in un momento epocale come questo, che ci colpisce e non cilascia certo indifferenti. Tuttavia determinateri flessioni, quando in gioco c’è la salute dei nostri cittadini, sono doverose!”.
Redazione Nurse Times
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